Spiare il profilo WhatsApp di un’altra persona resta un reato, anche se si tratta di un ex coniuge e anche se in passato si era ottenuto il consenso. Questo principio emerge da una recente sentenza della Corte di Cassazione, che ha ribadito la gravità del fenomeno e le conseguenze legali connesse a chi si intromette abusivamente nei messaggi altrui, specie durante momenti delicati come una causa di separazione.
La sentenza della corte di cassazione e il caso specifico
La Corte di Cassazione, a gennaio 2025, ha esaminato il caso di un uomo condannato in primo grado e in appello per aver letto e utilizzato i messaggi WhatsApp della ex moglie nel corso di una disputa legale per la separazione. I giudici hanno definito questo comportamento come “accesso abusivo a sistema informatico”, reato previsto dall’articolo 615-ter del codice penale.
La condanna si basa sulla violazione del diritto alla riservatezza digitale e al rispetto della privacy di chi ha un account di messaggistica elettronica. Qui, l’imputato si era intrufolato nell’account della moglie senza nuovo consenso, sfruttando messaggi e conversazioni personali a proprio vantaggio durante il processo. La Cassazione ha confermato la sentenza con pena fino a 4 anni di reclusione: per legge, l’accesso abusivo può arrivare fino a 10 anni se provocano gravi conseguenze.
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Riflessioni dei giudici sulla privacy digitale
I giudici hanno chiarito che interrompere la confidenzialità di uno strumento come WhatsApp implica un concreto danno alla persona, specialmente quando la comunicazione riguarda sfera privata e legami personali, come la relazione tra coniugi in causa di separazione. Non conta se la persona aveva già avuto il consenso a leggere i messaggi in passato. Il consenso deve essere esplicito e attuale.
Reato di accesso abusivo e normativa vigente
L’accesso abusivo a sistema informatico è un reato contemplato dal codice penale italiano e riguarda chiunque si introduca in un sistema telematico senza autorizzazione, anche se non causa un danno diretto all’apparato informatico. Nel caso di WhatsApp, basta la lettura non autorizzata dei messaggi per rientrare in questa fattispecie.
Il legislatore tutela specificamente la riservatezza delle comunicazioni elettroniche garantendo pene detentive. In pratica, entrare nel profilo WhatsApp di qualcuno che non ha autorizzato rappresenta un’intrusione nella sfera personale che la legge punisce severamente.
L’importanza del consenso nel diritto digitale
La norma non distingue tra uso personale o professionale dell’account: ciò che conta è l’assenza di consenso al momento dell’accesso. Anche l’utilizzo successivo delle informazioni raccolte in modo illecito può comportare responsabilità penali aggiuntive. Perciò, presentare prove ottenute con violazione della privacy su WhatsApp davanti a un tribunale può avere esito contrario, dato che l’atto di spionaggio stesso è punito.
Impatti pratici e conseguenze legali per le relazioni personali
Le decisioni della Cassazione hanno ripercussioni sulle tensioni quotidiane nelle famiglie in crisi. Leggere i messaggi della ex moglie o del ex marito senza autorizzazione rischia di aggravare le situazioni invece che chiarirle.
In tribunale, l’uso di chat o conversazioni abusive può rivelarsi controproducente: gli atti ottenuti illegalmente non solo possono essere esclusi dal processo, ma chi li ha raccolti rischia una nuova incriminazione. Questo limite obbliga a rispettare la privacy digitale, anche in contesti di discordia familiare.
Il ruolo delle app di messaggistica nelle dispute legali
L’intervento della Cassazione arriva in un momento in cui l’uso delle app di messaggistica è diventato centrale nella comunicazione quotidiana. La sentenza chiarisce che non esistono zone franche all’interno degli account privati, e che un accesso illecito viola diritti fondamentali di tutela della persona.
Questo pone un freno a comportamenti che, pur diffusi, risultano penalmente perseguibili. Chi gestisce controversie legali deve adottare strumenti leciti e trasparenti per documentare fatti e situazioni. Altrimenti, l’uso scorretto dei contenuti digitali rischia di complicare ulteriormente i contenziosi.
Il tema rimane aperto anche per futuri sviluppi giuridici, ma intanto la linea appare netta: WhatsApp, come ogni account personale, non può essere “spiato” senza violare la legge.