Jobs act, approvazione e polemiche: la legge che continua a dividere Italia dopo oltre dieci anni

Jobs act, approvazione e polemiche: la legge che continua a dividere Italia dopo oltre dieci anni

Il jobs act, introdotto da Matteo Renzi nel 2014 con il sostegno di Barack Obama, ha diviso il Partito Democratico e suscitato proteste sociali e sindacali per le sue modifiche alle norme sul lavoro.
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Il Jobs Act, introdotto da Matteo Renzi nel 2014 e ispirato al modello di Barack Obama, ha provocato forti divisioni politiche, sociali e sindacali in Italia, segnando un passaggio controverso nella riforma del lavoro. - Gaeta.it

Il jobs act ha segnato uno dei passaggi più complessi della legislazione italiana sul lavoro. Nato nel 2014 sotto il governo di matteo renzi, il provvedimento ha suscitato fin dall’inizio dibattiti accesi tra politica, sindacati e piazza. A più di dieci anni dalla sua approvazione definitiva al senato, nel dicembre 2014, la riforma resta pura materia di confronto, specie nel partito democratico e nelle consultazioni referendarie.

La genesi del jobs act e il sostegno di barack obama

Nel 2014, nei primi mesi della sua esperienza da presidente del consiglio, matteo renzi ha raccolto un entusiasmo internazionale inatteso per un intervento sulle norme del lavoro. Dopo un incontro a villa madama con barack obama, che aveva introdotto negli stati uniti un pacchetto simile chiamato jobs act, il premier italiano ha portato con sé quell’approccio nell’agenda di governo. Renzi ha più volte riconosciuto come Obama fosse fonte d’ispirazione per quella riforma.

Il paragone con la riforma americana prometteva un cambiamento profondo, mirato a dare slancio all’occupazione in un paese segnato dalla stagnazione economica. L’aria iniziale era ottimista, anche perché il supporto di una figura come obama aggiungeva autorevolezza alla manovra. Tuttavia, con il passare dei mesi il clima si è fatto via via più teso, segnato da scontri politici e divisioni nella maggioranza.

Resistenze e dissensi interni al pd

Il jobs act ha trovato subito resistenze all’interno del pd, il partito che sosteneva renzi. A settembre 2014, durante una direzione nazionale, emergero le prime fratture evidenti. Renzi, che aveva preparato un intervento di 44 minuti, ha cercato di difendere la riforma come necessaria per il paese, rivendicando che era stata scritta in un contesto economico di crisi.

La minoranza del partito non ha mostrato sconti. Tra i critici si contavano figure come pietro d’alema e massimi esponenti della corrente riformista ma scettici riguardo al testo. Il confronto a quel punto si è trasformato in una lotta politica interna, con venti voti contrari sulla legge e alcuni astenuti. La discussione in direzione è stata caratterizzata da accuse reciproche, mentre la sfiducia nei confronti di una parte della maggioranza emergeva con forza.

Gli oppositori, molti dei quali con un passato sindacale o da militanti di sinistra, vedevano nella riforma un taglio ai diritti consolidati dei lavoratori. Dalla minoranza sotto la guida di nomi come pippo civati e stefano fassina, la richiesta principale era di modificare ampiamente il testo o addirittura di rifiutarlo. Lo scontro si protrasse fino alla discussione parlamentare, mostrando un partito diviso come poche volte prima.

L’approvazione parlamentare in un clima di tensione e scontri

Il passaggio del jobs act in parlamento è stato segnato da un clima acceso e in alcuni casi violento. A ottobre 2014 al senato, il voto è arrivato solo dopo un lungo dibattito tra maggioranza e opposizione. Il governo ha posto la fiducia su un maxi emendamento, modificando sostanzialmente il disegno originario. I voti sono stati conquistati tra mere maggioranze numeriche e non senza polemiche.

Il caos in aula è stato sotto gli occhi di tutti. Nei momenti più tesi, la capogruppo di sel, loredana de petris, è stata protagonista di un episodio in cui ha aggredito una collega del pd, scatenando sdegno e riflessioni sulla tensione crescente. Quell’episodio testimonia un ambiente parlamentare difficile, con accuse reciproche e aggressività fisica, elementi che si discostano dalle normali procedure di discussione.

Momenti di agitazione e protesta in parlamento

Anche tra i gruppi parlamentari si sono vissuti momenti di grande agitazione. I senatori del movimento 5 stelle hanno sollevato proteste rumorose, sventolando fogli bianchi a simboleggiare il rifiuto della delega concessa al governo. Il presidente del senato pietro grasso ha avuto il compito complicato di mantenere l’ordine. Le espulsioni, le urla e le contestazioni hanno prolungato il dibattito fino a tarda notte, creando una giornata memorabile per l’intensità degli scontri.

La spaccatura definitiva al senato e le proteste nelle piazze italiane

Dopo l’approvazione al senato, a dicembre 2014, il jobs act è diventato legge. Il voto finale però ha confermato ancora una volta le divisioni profonde nel pd e nel resto del parlamento. I sì sono stati 166, ma ben 112 deputati hanno espresso un netto no. Tra questi, si sono contati anche assenze e astenuti importanti.

La legge non ha avuto un cammino lineare nemmeno nel paese. In diverse città italiane si sono tenute manifestazioni contro il jobs act, con momenti di tensione soprattutto nelle vicinanze del senato. A roma in particolare, la protesta si è trasformata in scontri con le forze dell’ordine su via delle botteghe oscure, una strada carica di significato per la sinistra politica italiana. Le contestazioni ribadivano critiche che già lì si erano viste in aula: la percezione di un indebolimento delle garanzie per i lavoratori.

Divisioni sociali e sindacali sul jobs act

La riforma ha lasciato sul campo una spaccatura netta non solo tra gruppi politici, ma anche nei vari ambienti sociali e sindacali. Le discussioni su ricadute e impatti hanno attraversato gli anni successivi, con il jobs act che continua a essere un tema caldo nei dibattiti pubblici e nel confronto politico in vista dei referendum che ne mettono in discussione alcune parti fondamentali.

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