L’impatto dell’intelligenza artificiale sulla sanità è al centro di molte discussioni in Italia, soprattutto riguardo agli effetti sull’accesso alle cure e sulla riduzione delle disuguaglianze territoriali. Il 25° Convegno nazionale dell’Associazione italiana ingegneri clinici , svolto a Napoli, ha messo in luce questi temi, evidenziando la complessità delle sfide tecnologiche e sociali che accompagnano l’adozione di strumenti innovativi nel settore sanitario.
Il convegno aiic e il legame tra tecnologia e obiettivi di cura
Durante la sessione plenaria del convegno, Lorenzo Leogrande, presidente dell’evento, ha sottolineato l’importanza di discutere l’innovazione tecnologica in relazione agli scopi fondamentali della sanità. Secondo Leogrande, “non si può considerare la rivoluzione digitale come un fenomeno a sé stante; essa deve piuttosto essere valutata in base alla sua capacità di garantire l’accesso alle cure a tutti i cittadini, migliorare la qualità degli interventi e assicurare la continuità dell’assistenza.” Questi principi rappresentano la bussola per orientare le applicazioni dell’intelligenza artificiale, evitando che la tecnologia diventi un fine e non uno strumento.
Il convegno ha inteso portare l’attenzione su come la trasformazione digitale debba rispondere a bisogni reali e pratici. La sfida sta nel trasformare dispositivi medici, algoritmi e software in strumenti di supporto reale per medici e pazienti, oltre che in leve per costruire un sistema sanitario più uniforme sul territorio nazionale. In questo senso, l’incontro ha invitato a riflettere sul ruolo della tecnologia non solo come innovazione tecnica, ma come parte integrante di un progetto più ampio per migliorare la vita delle persone.
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Il paradosso della tecnologia avanzata e l’equità nell’accesso alle cure
Nino Cartabellotta, presidente della fondazione Gimbe, ha evidenziato un paradosso presente nel sistema sanitario italiano. Da un lato, la disponibilità di strumenti tecnologici avanzati è aumentata notevolmente: si parla di apparecchiature di ultima generazione, farmaci innovativi e soluzioni basate sull’intelligenza artificiale. Dall’altro, però, permane una disparità marcata nell’accesso e nella qualità delle prestazioni offerte ai cittadini. In diverse zone del Paese, si fatica a garantire servizi essenziali a tutti coloro che ne avrebbero bisogno.
Per Cartabellotta la maggiore criticità riguarda proprio questa mancanza di equità. Senza un’attenzione puntuale al territorio e alle sue differenze, le nuove tecnologie rischiano di accentuare le disparità e creare situazioni in cui alcune aree o categorie di persone restano all’ombra degli sviluppi più recenti. L’intelligenza artificiale, se usata con responsabilità e trasparenza, potrebbe invece offrire un contributo importante per migliorare la diagnosi e l’assistenza quotidiana, alleggerendo carichi di lavoro e aumentando la precisione degli interventi.
Rimane però un punto da chiarire: le evidenze sull’efficacia concreta di questi strumenti in termini di salute pubblica sono ancora limitate. Al momento, molte ricerche si concentrano sulla capacità diagnostica degli algoritmi, ma mancano dati robusti che dimostrino un miglioramento significativo degli esiti clinici. Il futuro richiede quindi non solo competenze multidisciplinari, ma anche un impegno forte per far sì che l’innovazione sia veramente fruibile in ogni angolo del Paese, non solo nei centri specializzati.
Tra pazienti e tecnologia: la diffidenza verso l’intelligenza artificiale in sanità
Lorenzo Latella, responsabile di Cittadinanzattiva, ha presentato una ricerca su circa 600 pazienti della regione Campania che mette in luce la percezione sociale dell’intelligenza artificiale nel percorso di cura. I dati mostrano che quasi l’80% delle persone intervistate manifesta timori riguardo all’uso di queste tecnologie. La paura più comune riguarda il rischio che l’intelligenza artificiale interrompa la relazione diretta con i medici, ancora considerati il principale riferimento per la salute personale.
Questa diffidenza segnala un divario tra ciò che le istituzioni raccontano e la realtà vissuta dai pazienti. La fiducia nei confronti della tecnologia non si costruisce solo con la comunicazione, ma richiede anche un coinvolgimento attivo delle persone. Far comprendere ai pazienti che l’intelligenza artificiale può supportare diagnosi più precise o percorsi terapeutici migliorati potrebbe ridurre questo scetticismo.
Latella ha sottolineato l’importanza di includere i pazienti nelle scelte e nell’informazione riguardo all’adozione di nuove tecnologie, affinché queste non siano percepite come un ostacolo, ma come opportunità. Questo approccio può influire positivamente sull’aderenza ai trattamenti e sulla tempestività nella diagnosi, elementi fondamentali per affrontare patologie complesse.
Il punto di vista del mondo industriale sull’innovazione e l’obsolescenza tecnologica
Il settore industriale è già coinvolto nella realizzazione e diffusione di dispositivi che devono essere accessibili e utili a tutti. Vittorio Martinelli, da Olympus Italia, ha fatto emergere l’impegno concreto per rendere disponibili sul mercato soluzioni che superino le disuguaglianze. Alessandro Preziosa, presidente dell’Associazione elettromedicali di Confindustria Dispositivi medici, ha descritto una doppia sfida: da un lato l’obsolescenza delle apparecchiature, dall’altro le opportunità derivanti dall’intelligenza artificiale.
Preziosa ha spiegato che soffrire di tecnologie superate limita l’efficacia dell’intero sistema sanitario. Se la distribuzione delle innovazioni non sarà più omogenea, il rischio è di un ulteriore ampliamento dei divari tra territori. Occorre quindi una gestione attenta che contempli la sostituzione dei dispositivi antiquati integrandoli con strumenti più avanzati, capaci di dialogare all’interno del sistema.
Il mondo produttivo considera così l’innovazione non solo come questione di ricerca, ma come responsabilità sociale di accompagnare la sanità verso un modello più equo. Questo passaggio implica collaborazione e dialogo con utenti, istituzioni e operatori sanitari per evitare che la tecnologia rimanga un privilegio e diventi un bene comune.
Il ruolo degli ingegneri clinici nel cambiamento tecnologico della sanità italiana
Nel contesto emerso, la figura degli ingegneri clinici assume un ruolo chiave. Umberto Nocco, presidente dell’Aiic, ha ribadito che la presenza di competenze adeguate non manca, ma serve chiarezza su cosa il paese intenda davvero costruire con l’intelligenza artificiale. Gli ingegneri clinici possiedono strumenti e conoscenze che permettono di integrare in modo funzionale i dispositivi tecnologici nell’assistenza, risolvendo problemi pratici e supportando medici e pazienti.
Secondo Nocco, la governance nazionale deve dare indicazioni precise per evitare che l’intelligenza artificiale resti confusa tra mode e tecnicismi. Serve un piano chiaro sugli obiettivi di ricerca, diagnostica e cura, tenendo conto delle differenze territoriali e delle esigenze reali della popolazione. Solo così si potrà programmare un’adozione uniforme e produttiva.
Il presidente ha invitato tutta la comunità professionale a farsi avanti con competenza e spirito collaborativo. Gli ingegneri clinici si dicono pronti a svolgere un ruolo da protagonisti in questo processo, contribuendo a tradurre la tecnologia in risultati concreti e accessibili per tutti. Sono consapevoli della responsabilità di accompagnare la trasformazione digitale in modo sostenibile e reale.