Il Pentagono ha comunicato la separazione di circa mille militari che si sono dichiarati transgender. La decisione segue la sentenza della Corte Suprema, che ha autorizzato l’amministrazione Trump a far rispettare il divieto di servizio per i militari transgender. La nuova direttiva prevede anche che gli altri militari trans ricevano 30 giorni per dimettersi volontariamente.
La sentenza della corte suprema e il divieto di servizio per i militari transgender
Martedì 14 gennaio 2025, la Corte Suprema ha dato la sua approvazione alla politica voluta dall’amministrazione Trump che vieta il servizio militare aperto ai transgender. Questa decisione ha permesso al Pentagono di riprendere il piano iniziale, sospeso per mesi a causa di ricorsi e cause legali. Con la sentenza, l’orientamento sessuale e l’identità di genere non rappresentano più un ostacolo legale alla rimozione dal servizio per i militari transgender che non vogliono o non possono nascondere la loro condizione. Il verdetto ha imposto al dipartimento della difesa di attuare misure concrete per applicare il divieto, dando via libera al processo di allontanamento e dimissioni volontarie.
Questa vicenda si inserisce in un contesto politico e sociale fortemente polarizzato sul tema dell’identità di genere e del ruolo delle persone transgender nelle istituzioni federali. L’amministrazione precedente aveva già tentato di imporre restrizioni simili, ma aveva incontrato ostacoli giudiziari. Ora, con la nuova decisione della Corte Suprema, la linea è stata rafforzata. Il Pentagono ha quindi formalizzato una procedura per gestire la presenza di militari transgender nelle sue fila.
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Dati e cifre sui militari transgender nelle forze armate statunitensi
Secondo il dipartimento della difesa, aggiornato al 9 dicembre 2024, i militari con diagnosi di disforia di genere in servizio attivo nella guardia nazionale e nelle riserve sono circa 4240. Su un totale di circa due milioni di membri delle forze armate, questa rappresenta una quota limitata. Nel corso degli ultimi mesi, però, circa mille militari hanno deciso di dichiararsi transgender alla luce della nuova direttiva emessa a febbraio 2024, sospesa in seguito a cause legali.
L’emergere di questo dato ha messo in evidenza una parte della popolazione militare che fino ad allora era rimasta in gran parte non ufficialmente riconosciuta o che aveva preferito non esporsi. La direttiva del Pentagono si presenta ora come una linea netta: questi militari devono scegliere se dimettersi entro 30 giorni o affrontare il processo di espulsione.
Processi di separazione e testimonianze dei militari coinvolti
Sean Parnell, portavoce del Pentagono, ha descritto come “processo di separazione volontaria” il percorso che interesserà i circa mille militari transgender. Tuttavia, le testimonianze raccolte, ad esempio da fonti come il Guardian, raccontano un quadro diverso. Molti militari hanno riferito di aver subito forti pressioni per accettare l’allontanamento. Rae Timberlake, militare con 17 anni di esperienza nella marina e portavoce di Sparta Pride, ha sottolineato che “la scelta non è genuinamente volontaria.”
Timberlake ha sottolineato che rifiutare questa “scelta” significa perdere pensioni, indennità e il diritto a un congedo onorevole. Questo elemento ha sollevato critiche rispetto alla linearità della procedura e alle condizioni in cui i militari transgender si trovano a operare in questo momento. L’atmosfera di costrizione descritta da chi è coinvolto pone questioni sul rispetto dei diritti individuali e sulla reale libertà di scegliere la propria strada una volta entrati nel servizio militare.
La posizione del segretario alla difesa e il contesto politico delle restrizioni
Pete Hegseth, segretario alla difesa, ha pubblicamente sostenuto il provvedimento, collocandolo all’interno di un progetto più ampio per affrontare quella che ha definito una “debolezza” nelle forze armate legata a “ideologia woke”. Secondo Hegseth, eliminare la presenza transgender nelle fila militari contribuisce a rafforzare la disciplina e l’efficacia delle istituzioni militari degli Stati Uniti.
Questa direttiva è inoltre parte di una serie di restrizioni sui diritti delle persone transgender volute dall’amministrazione Trump. Tra queste, rientrano anche modifiche alla copertura sanitaria per veterani LGBTQ+, che comportano una riduzione dell’assistenza medica specifica. Questi interventi si inseriscono in una linea politica critica verso le istanze dell’attivismo LGBTQ+ negli ambienti istituzionali, e ricalcano alcune delle battaglie più divisive degli ultimi anni sul riconoscimento delle identità transgender nel contesto militare.
La situazione che si è creata evidenzia una fase delicata sia per i militari transgender, sia per le forze armate americane. Le ripercussioni legali, sociali e umane di questa nuova politica rimangono da monitorare nelle prossime settimane.