Il papa ha rivolto un discorso intenso alle chiese di rito orientale, mettendo al centro il dramma dei conflitti in aree come la Terra Santa, l’Ucraina, il Libano e il Caucaso. Il suo messaggio insiste sulla necessità di pace vera, non come assenza di guerra, ma come impegno per la riconciliazione e il dialogo. Lo sguardo si posa sulle storie di sofferenza vissute da queste comunità, definite dallo stesso pontefice “martiriali”. L’appello a fermare le armi arriva insieme all’invito a promuovere chiarezza nella vita delle chiese.
Il volto della guerra nelle chiese orientali, tra sofferenza e resilienza
Il papa ha esordito ricordando le ferite profonde che le chiese orientali portano da anni, situate in zone flagellate dai conflitti. Dalla Terra Santa all’Ucraina, passando per il Libano e la Siria, fino al Tigrai e al Caucaso, queste comunità sperimentano violenze che si traducono in perdite di vite, soprattutto di giovani. Le parole del pontefice evidenziano come la guerra non sia una realtà astratta, ma colpisca direttamente persone in carne e ossa. La definizione di “chiese martiriali” evoca il fatto che queste comunità vivono quotidianamente il martirio legato ai massacri e alle crisi umanitarie. Papa Francesco sottolinea la gravità di una situazione che non può lasciare indifferenti. In questa cornice, la pace assume un significato concreto: non una tregua silenziosa, ma un processo di vita che restituisce dignità a chi soffre.
La pace come dono che rigenera la vita e sprona alla riconciliazione
Il papa ha spiegato che la pace di Cristo non può essere ridotta a un semplice stop delle ostilità. Non è il silenzio tombale dopo la guerra, né la vittoria di un oppressore sull’altro. Piuttosto, la pace è un dono che guarda alle persone, riattivando relazioni e speranze. Viene identificata con la riconciliazione, un processo che implica il perdono e il coraggio di voltare pagina. Da qui la preghiera del pontefice per una pace che riapra strade di vita nuova. Il concetto supera la dimensione politica o militare, entrando nel campo umano e spirituale. È una chiamata a far fiorire il coraggio necessario per ricostruire legami distrutti dalle divisioni e dai traumi della guerra.
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L’impegno del vaticano e l’invito al dialogo tra i popoli in conflitto
Nel suo discorso, il papa ha assicurato che la Santa Sede metterà ogni energia per favorire incontri tra le parti coinvolte nei conflitti. Ha espresso la disponibilità a far sì che i nemici possano sedersi insieme, guardarsi negli occhi e costruire una speranza condivisa. La dignità della pace è posta come obiettivo da riconsegnare ai popoli che troppo spesso ne sono privati. Il pontefice si è rivolto direttamente ai responsabili politici, chiedendo un impegno serio nella negoziazione e nel dialogo. Le armi, ha ricordato, non portano soluzioni ma aggravano i problemi, e la storia premia chi semina serenità, non chi raccoglie vittime. Il richiamo va anche a scardinare le narrazioni manichee che dipingono una divisione netta tra “buoni” e “cattivi”. Gli altri sono persone con cui dialogare, non nemici da combattere.
L’appello alla trasparenza e all’umiltà nelle chiese di rito orientale
Il papa ha concluso la sua riflessione chiedendo unità e trasparenza anche nella gestione interna delle chiese orientali. Ha invitato i pastori a promuovere la comunione con sincerità, soprattutto attraverso i sinodi dei vescovi, perché questi diventino luoghi di vera collaborazione e responsabilità condivisa. Fondamentale è il richiamo alla trasparenza nella gestione dei beni, accompagnata da una testimonianza di dedizione totale al popolo di Dio. Il pontefice ha ribadito che gli attaccamenti agli onori o ai poteri devono lasciare spazio a un servizio umile. L’incontro nell’aula Paolo VI ha visto papa Francesco insistere su questi valori come fondamenti per mettere in pratica la pace anche nelle comunità ecclesiali, lontano da qualsiasi forma di autoreferenzialità.