Il 9 maggio 2025, l’amministrazione degli Stati uniti ha annunciato un nuovo giro di vite sulle frontiere con un travel ban che limita l’ingresso a cittadini di dodici paesi. Questa misura, motivata ufficialmente con la tutela della sicurezza nazionale, riflette soprattutto interessi geopolitici ed economici legati alla presenza cina e russia nelle nazioni colpite. Il divieto colpisce paesi che hanno rapporti commerciali o politici stretti con Pechino e Mosca, mentre modifica sul piano migratorio il flusso di persone da aree instabili come Haiti, Myanmar e l’Afghanistan.
Motivazioni ufficiali e contesto del nuovo travel ban
Nel decreto diffuso dalla Casa bianca, si legge che il provvedimento serve a «proteggere la sicurezza nazionale e gli interessi degli Stati uniti». L’urgenza indicata dal presidente Donald Trump è stata sottolineata anche nel suo video messaggio di presentazione, in cui ha citato l’attacco antisemita di Boulder, in Colorado, come esempio della minaccia a cui si vuole porre argine. Tuttavia, dai dodici paesi inseriti nella lista nera non figura Il Cairo, nonostante l’attentatore accusato provenisse dall’Egitto. Questo indica che la sicurezza non è l’unico criterio in gioco.
Tra i paesi colpiti ci sono Haiti e Myanmar. La situazione in queste nazioni non è legata a un pericolo concreto verso gli Stati uniti, ma piuttosto a condizioni di instabilità interna che mettono a rischio i cittadini stessi. Haiti, con il collasso dello Stato e la crisi sociale, e il Myanmar, che vive sotto una giunta militare autoritaria dopo il colpo di stato, rappresentano contesti difficili. Alla luce di queste condizioni il blocco dei visti appare più come una limitazione che complica ulteriormente la vita delle popolazioni, piuttosto che una risposta a minacce reali.
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Impatto geopolitico: la crescita di cina e russia nei paesi vietati
Osservando i paesi inclusi nel divieto, emerge un legame chiaro con l’espansione cina e russia in alcune regioni chiave. Per esempio nella Repubblica del Congo e Guinea Equatoriale la presenza economica di Pechino si è rafforzata negli ultimi anni. La Russia, invece, ha acquisito posizioni rilevanti in Iran e Libia, situazioni che sembrano influenzare direttamente la politica di sicurezza americana.
Il rapporto commerciale e politico tra questi paesi e le potenze orientali pare essere il vero motivo che conduce al blocco. Trump interpreta queste nazioni come concorrenti nella supremazia globale, motivo sufficiente a classificare i loro cittadini come indesiderati negli Stati uniti. Dietro ai divieti si nascondono interessi economici. Se cambieranno gli orientamenti politici internazionali, resta aperta la possibilità che le restrizioni vengano riviste, riaprendo le porte agli ingressi vietati ora.
Casi particolari: afghanistan e haiti sotto la lente degli stati uniti
L’Afghanistan vive da tempo una situazione complessa dopo il ritiro delle truppe americane nel 2021. I taleban detengono il potere, appoggiati dagli investimenti cinesi e da un atteggiamento di tolleranza da parte russa. Il blocco dei visti per gli afghani sembra contraddire le promesse fatte da Washington nei vent’anni di presenza militare. Chi ha collaborato con gli Stati uniti è escluso dal divieto, ma la nuova generazione di attivisti e donne che ha vissuto almeno in parte sotto un regime filo-occidentale ne è colpita.
In Haiti, la politica migratoria degli Stati uniti ha subito improvvisi cambiamenti. In pochi mesi si è passati dall’assegnazione di centinaia di migliaia di visti temporanei a una chiusura quasi totale delle porte. Il governo americano ha annullato permessi di protezione anche per cittadini cubani, venezuelani e nicaraguensi, concentrando la repressione sul cosiddetto “bando parziale”. La restrizione si applica anche a chi fugge dalla crisi politica e dalle difficoltà economiche. L’approccio attuale limita fortemente le possibilità di asilo e aumenta la pressione su questi paesi.
Ripercussioni sulla gestione dei migranti e le espulsioni negli stati uniti
Il nuovo travel ban si combina con una politica interna che spinge verso una gestione più severa dei migranti. Dopo la promessa di una “deportazione di massa” in campagna elettorale, la Casa bianca ha avviato programmi per rimpatriare forzatamente molte persone, incluso il trasferimento in carceri straniere come quelle in El Salvador. A El Paso, la polizia ha arrestato richiedenti asilo in attesa di esame, spostandoli in condizioni che hanno sollevato contestazioni legali.
Nonostante i ricorsi dei tribunali, l’amministrazione continua a velocizzare le espulsioni. Per stimolare i rimpatri volontari ha stanziato incentivi di mille dollari, finanziati tagliando 250 milioni di dollari destinati ai servizi di accoglienza per le categorie più vulnerabili. Questa manovra dimostra il predominio della geopolitica e della politica interna sull’approccio umanitario e riflette il principio di “America first” che guida le scelte del governo.
Implicazioni per l’equilibrio internazionale e le relazioni con paesi limitrofi
Il blocco dei visti e le restrizioni migratorie influenzano non solo i paesi direttamente coinvolti, ma anche l’intera area americana e l’Asia meridionale. Le tensioni aumentano in zone in crisi come il Caraibi e il Medio Oriente, dove la mobilità delle persone è un fattore delicato. Cuba, Venezuela, Nicaragua subiscono un “bando parziale” che limita l’emigrazione e rafforza le difficoltà interne.
Queste misure cambiano il modo in cui gli Stati uniti si relazionano con i propri vicini e partner internazionali. L’approccio restrittivo rischia di alimentare flussi illegali e tensioni diplomatiche. In parallelo la presenza cina e russia nei paesi colpiti dal travel ban conferma nuove linee di frizione nell’arena globale, con l’America impegnata a rafforzare confini e priorità nazionali, anche a costo di isolare aree strategiche.