Il Met di New York affida a Jeffery Gibson le nuove sculture alle nicchie della facciata Fifth Avenue

Il Met di New York affida a Jeffery Gibson le nuove sculture alle nicchie della facciata Fifth Avenue

Jeffrey Gibson, artista indigeno contemporaneo Choctaw e Cherokee, presenta al Met di New York un ciclo di sculture dal 2025 che esplora identità, ambiente e interconnessione tra esseri viventi.
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Il Met di New York ospiterà dal settembre 2025 al giugno 2026 un ciclo di sculture di Jeffrey Gibson, artista indigeno contemporaneo, che esplorano temi di identità, ambiente e interconnessione tra esseri viventi, promuovendo una narrazione inclusiva e innovativa sull’eredità culturale indigena. - Gaeta.it

Al Met di New York, uno dei musei più importanti al mondo, arriva una nuova opera che riprende temi di identità e ambiente attraverso lo sguardo di un artista indigeno contemporaneo. Jeffrey Gibson, noto per il suo contributo vibrante all’arte nativa e queer, realizzerà un ciclo di sculture che verranno esposte da settembre 2025 fino a giugno 2026 sulle nicchie della facciata del museo su Fifth Avenue. Questa commissione sottolinea la volontà del Met di dare voce a punti di vista spesso marginalizzati e di affrontare temi legati alla convivenza fra uomo, natura e cultura con un linguaggio artistico contemporaneo.

Un’eredità indigena che si fonde con il contemporaneo

Jeffrey Gibson nasce nel 1972 a Colorado Springs e cresce tra Stati Uniti, Germania e Corea, vivendo esperienze multiculturali che si riflettono nel suo lavoro artistico. È membro della Mississippi Band of Choctaw Indians, una tribù riconosciuta a livello federale, e discende anche da antenati Cherokee. Questa doppia radice indigena è centrale nelle sue opere, in cui fonde materiali inusuali, come tessuti decorativi e metalli, con una sintesi di astrazione e simboli tradizionali.

Dialogo tra passato e presente

Attraverso questa fusione, Gibson mette in scena visioni che esplorano la presenza indigena nel mondo contemporaneo, mettendo in dialogo passato e presente, tradizione e innovazione. Le sue sculture ricordano come umano, animale e ambiente siano parte di un unico ecosistema condiviso. La sua attenzione ai materiali e ai pattern crea una narrazione visiva che invita a riflettere sull’identità culturale e sulle relazioni umane. Max Hollein, direttore del Met, ha definito Gibson una figura pionieristica dell’arte nativa, capace di incarnare una visione che va oltre gli stereotipi e propone un racconto più complesso delle radici indigene.

Il progetto the animal that therefore i am sulle nicchie di fifth avenue

La commissione affidata a Gibson si intitola the animal that therefore i am, un richiamo esplicito al filosofo francese Jacques Derrida, noto per i suoi studi sull’alterità e il rapporto tra essere umano e animale. La proposta di Gibson consiste in quattro sculture figurative da collocare nelle nicchie della facciata Beaux Art del Met su Fifth Avenue. Le opere saranno visibili al pubblico tra il 12 settembre 2025 e il 9 giugno 2026.

Riflessioni sull’interconnessione tra esseri viventi

Il progetto vuole ricordare a chi entra nel museo l’interconnessione tra tutti gli esseri viventi e l’ambiente naturale che ci circonda. Questo tema attraversa l’intera produzione artistica di Gibson, che più volte ha sviluppato opere in cui paesaggi, animali e esseri umani si sovrappongono, per sottolineare le loro radici comuni. La scelta del titolo richiama il lavoro filosofico di Derrida, conferendo un alone di riflessione profonda sull’esistenza e sul rapporto con gli altri esseri viventi.

Non è la prima volta che il Met affida a un artista ospite una commissione per le nicchie sulle sue mura. Nel 2019, per esempio, quattro sculture della keniana-americana Wangechi Mutu erano occupate da figure che rappresentavano le “cariatidi africane”, un momento importante per mettere in evidenza nuove letture dell’arte e della storia. La presenza di Gibson si inserisce in questa linea, portando avanti un racconto contemporaneo con un forte legame a questioni di identità e memoria culturale.

Un artista bipoc nel cuore di new york

Jeffrey Gibson si inserisce nel gruppo di artisti noti come BIPOC, cioè black, indigenous and people of color, categorie che faticano ancora oggi a ottenere spazi equivalenti nei grandi musei. Il fatto che il Met gli abbia affidato una commissione così visibile rappresenta un riconoscimento alle diverse voci che compongono la società americana contemporanea. Gibson, con la sua doppia ascendenza Choctaw e Cherokee, mette in luce una prospettiva indigena poco rappresentata nei circuiti artistici tradizionali.

Le sue opere spesso sfidano le aspettative, usando materiali e tecniche che non si limitano alla pittura o alla scultura tradizionale. Le sue sculture combinano forme astratte con testi e simboli, creando un linguaggio multisensoriale che parla di spazio, memoria, e appartenenza. Il lavoro di Gibson prova a cancellare confini rigidi tra categorie, proponendo una narrazione che include esperienza queer e culturale in modo intrecciato.

Precedenti e continuità nel museo

New York, museo che negli ultimi anni ha investito nell’inserimento di artisti indigeni in progetti pubblici importanti. Nel 2019 Kent Monkman, artista canadese della tribù Cree, aveva già portato grande attenzione sulla storia e sulle eredità coloniche con opere esposte nell’atrio del museo. Gibson prosegue su questa strada, ma con un linguaggio visivo che predilige la scultura e l’uso di materiali inaspettati.

Dimensioni politiche e culturali della scelta del met

Il riferimento alle figure indigene all’interno di un simbolo culturale come il Met appare anche come una risposta ai mutamenti politici che si riflettono sul piano artistico. Durante la presidenza Trump, e nella sua seconda fase nel 2025, la discussione sul ruolo degli Stati Uniti nel mondo dell’arte è tornata molto viva. La recente decisione sul bando per il padiglione statunitense alla Biennale di Venezia, per esempio, già chiamava a proposte che riflettessero il nazionalismo e una visione specifica dell’identità americana.

Arte e rappresentazione al padiglione di venezia

Gibson aveva rappresentato gli Stati Uniti nel 2024 proprio a Venezia, con un padiglione valorizzato dalla critica per la forza con cui aveva mescolato riferimenti indigeni, queer e questioni storiche. Quel lavoro si intrecciava al dibattito sulla rappresentazione culturale, mettendo in luce la necessità di storie diverse rispetto al racconto dominante. Con le sculture sulle nicchie del Met, l’artista conferma questo impegno, offrendo al pubblico di New York un’opera che parla di dialogo e di relazione con il passato e la natura.

Il progetto si inserisce in un momento in cui i musei americani faticano ancora a trovare un equilibrio tra narrazioni tradizionali e spinte verso l’inclusività culturale. Il Met, con questa scelta, sembra voler dire qualcosa di preciso sulle radici molteplici della nazione, accogliendo artiste e artisti che portano avanti storie poco raccontate, ma fondamentali per capire la contemporaneità.

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