Il mais ha segnato pagine difficili della storia italiana, specialmente al nord, dove per decenni è stato sinonimo di fame e sofferenza. Quella stessa planta, però, ha attraversato l’Atlantico e si è trasformata in un simbolo di cultura e sapori diversi. Oggi alcune aziende italiane portano i liquori messicani a base di mais, testimoni di antiche tradizioni e di un riscatto nutrizionale e culturale. Passiamo in rassegna questa evoluzione che unisce passato e presente senza dimenticare gli errori del passato.
Il mais e la pellagra: una malattia nata dalla povertà della dieta contadina del nord italia
Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento la pellagra colpì soprattutto le campagne del nord Italia. Questa malattia grave e spesso mortale prendeva origine da una carenza di niacina, o vitamina B3, dovuta a una dieta monotona e poverissima che si basava quasi esclusivamente sul consumo del mais. In Veneto e nelle altre regioni agricole del nord, la polenta era il piatto principale a ogni pasto, giorno dopo giorno, senza variazioni o integrazioni nutrizionali.
Il problema non stava tanto nel mais, che avrebbe potuto essere un alimento completo, bensì nel suo trattamento. A quel tempo si consumava il mais senza praticare la nixtamalizzazione, una tecnica di preparazione tipica di alcune popolazioni d’America centrale che permette di rendere il mais digeribile e di liberare la niacina. La mancanza di questo processo tradizionale provocava effetti terribili sugli abitanti: lesioni cutanee, disturbi neurologici e demenza progressiva. Non a caso la pellagra veniva definita “morbo della fame”, perché rappresentava una conseguenza diretta della povertà e delle scelte alimentari dettate dalla mancanza di risorse e di conoscenze.
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Molte famiglie vissero anni di sofferenze silenziose, senza sapere che un semplice cambiamento nella preparazione del mais avrebbe potuto salvare vite. Le comunità agricole, isolate e spesso ignoranti in termini di scienza nutrizionale, continuarono a consumare quel cibo come unica fonte di sostentamento. La pellagra segnò un capitolo cupo della storia alimentare italiana, ancora oggi ricordato come esempio di come l’uomo possa soffrire per scelte forzate dettate da condizioni economiche difficili.
La nixtamalizzazione e le sue radici
In America centrale, il mais è da millenni il centro delle diete indigene. Le popolazioni Maya, Azteche e Inca svilupparono una tecnica chiamata nixtamalizzazione che consiste nel cuocere i chicchi di mais con acqua e calce. Questo procedimento permette di rimuovere la cuticola esterna e liberare la niacina, ma anche di rendere i chicchi più digeribili e con un profilo nutrizionale molto più alto.
La nixtamalizzazione non solo preserva la qualità del mais, ma ne esalta anche i sapori e lo rende alla base di ricette fondamentali come le tortillas e le tamales. Questo metodo fu tramandato per generazioni, diventando un vero e proprio patrimonio culturale e alimentare, che ha permesso a queste civiltà di prosperare su una dieta ricca e bilanciata.
Diversamente dall’Europa, dove il mais venne importato nel sedicesimo secolo dopo la scoperta dell’America, la conoscenza di questa tecnica andò perduta con il tempo. In Italia e in altri paesi europei il mais venne coltivato e consumato senza adattarne i metodi di lavorazione alle conoscenze indigene. Così quel che poteva essere un alimento prezioso divenne responsabile di malattie.
La storia del mais dimostra come l’alimentazione non dipenda solo dal cibo in sé, ma dalla capacità di manipolarlo e prepararlo correttamente. I popoli indigeni del centro america ci insegnano, senza retorica, che il sapere tradizionale poteva fare la differenza tra salute e malattia.
Il riscatto del mais: i liquori messicani che raccontano una storia di cultura e artigianalità in italia
Oggi il mais vive una nuova fase della sua storia, specie nel mondo delle bevande artigianali. Due prodotti messicani stanno conquistando i palati italiani grazie a una produzione che unisce rispetto delle tradizioni e qualità: Nixta licor de elote e il whisky Abasolo.
Nixta licor de elote nasce da mais nixtamalizzato secondo metodi ancestrali. Questa pratica permette di conservare il profumo dolce del granoturco e donare al liquore aromaticità intensa e una dolcezza naturale che si distingue nel confronto con altri distillati. Ogni bottiglia racconta un legame con la terra e la cultura contadina messicana, oggi apprezzata anche fuori dai confini locali. Spirits & colori, distributore italiano, ha scelto di portarlo sul mercato con una selezione rigorosa per rappresentare l’autenticità messicana.
Il whisky Abasolo, invece, si differenzia dai bourbon comuni per l’uso del mais ancestrale e per una lavorazione lenta e accurata. L’attenzione alla scelta del mais e alle tecniche di fermentazione consente a questo distillato di conservare le tradizioni culturali messicane in ogni sorso. Il risultato è un whisky dagli aromi particolari, che richiama la storia di un popolo legato al mais.
L’apprezzamento del mais in italia oggi
L’arrivo di questi prodotti in Italia permette di apprezzare il mais in una forma nuova, liberandolo dai pregiudizi legati alla sua storia europea. Questi liquori riprendono ciò che il passato ha perso e lo trasformano in un’esperienza sensoriale e culturale. Nei bar e nelle osterie di alcune città italiane si iniziano a proporre drink che parlano di questo passato e del presente, confermando che un prodotto può rinnovarsi senza dimenticare le sue radici profonde.