L’amministrazione Trump ha realizzato un passaggio inatteso nel modo in cui lo Stato americano interviene nell’economia, entrando in modo diretto nel capitale della società tecnologica Intel. Questa mossa segna la fine del tradizionale laissez-faire e apre a un modello di capitalismo gestito, con richiami a politiche protezionistiche e interventi pubblici in aziende chiave. Le manovre della Casa Bianca coinvolgono anche altre imprese strategiche, in una strategia che mette in discussione i confini tra pubblico e privato nel mercato americano.
Il Tesoro americano diventa primo azionista di Intel, un cambiamento radicale nel ruolo dello Stato
Nel corso del 2025, il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha acquistato circa il 10% del capitale di Intel, trasformandosi così nel primo azionista dell’azienda. L’operazione è stata condotta con fondi provenienti dal Chips Act, una legge federale votata sotto l’amministrazione Biden, e inizialmente criticata dal stesso Trump, che poi ha spostato la sua posizione in modo sorprendente. Il presidente aveva chiesto le dimissioni del CEO Lip-Bu Tan, acusandolo senza dettagli precisi di conflitti d’interesse e mala gestione, con particolare attenzione ai rapporti con la Cina. Dopo un confronto diretto, Trump ha cambiato idea, sostenendo il piano di rilancio e imponendo l’acquisto della quota di minoranza, pagata a un prezzo inferiore rispetto a quello di altri investitori come Softbank o il valore di mercato.
Questa vicenda rappresenta un precedente unico nel recente stato americano: l’intervento pubblico diretto nel capitale di un’azienda importante al di fuori di contesti di crisi o fallimento. La Casa Bianca ha poi fatto sapere che l’operazione potrebbe ripetersi con altre imprese, preferibilmente più piccole, aprendo la strada a un modello di “capitalismo transazionale” in cui lo Stato prende parte attiva nelle scelte strategiche e, in qualche modo, mira anche a ricavare profitti nelle grandi aziende.
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Parallelamente all’ingresso nell’equity di Intel, l’amministrazione ha imposto misure dureggianti per controllare il mercato interno e tutelare la produzione nazionale. Importanti attori industriali come Walmart sono stati invitati in modo veemente a non trasferire l’aumento dei dazi doganali ai consumatori, mantenendo bassi i prezzi di vendita in un contesto di tariffe elevate imposte dall’amministrazione su prodotti importati.
La strategia si estende anche ai rapporti internazionali, dove si è raggiunto un accordo per limitare i dazi tra Stati Uniti e Unione Europea al 15%. Inoltre, il Tesoro ha condizionato la presenza sul mercato cinese di aziende come Nvidia e AMD, richiedendo un versamento al governo federale delle parti dei profitti ricavati in Cina. Questo approccio attesta un controllo fiscale diretto sui rendimenti generati all’estero da multinazionali americane.
Un caso simile si è visto con US Steel, dove il governo ha ottenuto una “golden share” per influenzare le decisioni strategiche nell’ambito dell’integrazione con la giapponese Nippon Steel. Questi provvedimenti mostrano una concezione nuova e più invasiva della politica economica statunitense, che punta a mantenere un potere diretto sulle aziende considerate essenziali per la tenuta produttiva e strategica del Paese.
Il capitalismo gestito di Trump: tra transazioni e controllo pubblico diretto
Le mosse di Trump hanno destato reazioni diverse, anche tra esponenti conservatori. Alcuni commentatori hanno definito questa forma di controllo “capitalismo transazionale”, un modello in cui il potere statale favorisce i suoi alleati e penalizza i nemici, distante da approcci socialisti tradizionali che si basano sul coinvolgimento sociale dell’intervento pubblico. Il senatore libertario Rand Paul ha interpretato l’ingresso del Tesoro in Intel come un passo verso il socialismo, nonostante la natura specifica e limitata dell’operazione.
Fonti autorevoli come il Wall Street Journal hanno osservato come questa linea si ispiri a un capitalismo con caratteristiche a metà strada fra il dirigismo asiatico, soprattutto cinese e indiano, e il modello russo, ricollocando gli Stati Uniti lontano dall’ideale del libero mercato. Questo modello assumerà probabilmente maggiore rilievo nelle prossime scelte politiche dell’amministrazione.
Storicamente, lo stato americano è intervenuto nel capitale di società private solamente in situazioni di emergenza, come durante la crisi finanziaria del 2008, con lo scopo di salvare banche e industrie automobilistiche dalla bancarotta. Ora invece, lo Stato si muove con finalità profittevoli e concrete, regolando in modo diretto la proprietà delle imprese.
Strumenti di controllo e valutazione sulle grandi aziende: verso un sistema di rating governativo
Oltre all’acquisizione diretta di quote societarie, la Casa Bianca sta sviluppando metodi per controllare il comportamento delle imprese attraverso sistemi di rating. Verrà attuato un monitoraggio basato sull’intelligenza artificiale, in grado di analizzare circa 550 grandi imprese e associazioni industriali. Lo scopo iniziale sarà verificare la congruenza tra le dichiarazioni pubbliche e le azioni concrete delle aziende rispetto alle linee politiche previste dalla legge “Beautiful Act”, la legge chiave del mandato Trump.
Questo strumento rappresenta una novità importante per il controllo statale sull’economia privata, introducendo un livello di sorveglianza sistematica che potrebbe influire profondamente nelle future decisioni aziendali. Il sistema potrà fornire informazioni puntuali sull’allineamento delle imprese alle scelte politiche dell’amministrazione, con possibili riflessi sulle strategie interne di queste realtà .
I dati pubblici e le pratiche di trasparenza diventeranno, così, leve di pressione politica e strumenti di indirizzo economico, portando a una riorganizzazione completa dei rapporti tra Stato e imprese nel contesto statunitense. Nel 2025, questa nuova fase si conferma come un punto di svolta nelle dinamiche del capitalismo americano, delineando uno scenario dove l’intervento pubblico si fonde con l’attività privata in modo mai visto prima.