Il dibattito sul debito pubblico degli Stati Uniti torna al centro dell’attenzione internazionale. I piani fiscali promossi dall’amministrazione trumpiana hanno scatenato reazioni contrastanti, con le borse in tensione e il mercato dei titoli di Stato Usa in fermento. L’incertezza politica e le scelte di Washington si ripercuotono sul sistema finanziario globale e sull’economia reale, specie nel settore privato. Vediamo come si sviluppa questa situazione nel dettaglio e quali sono le implicazioni principali.
La spinta politica per la legge fiscale e la risposta dei mercati
Il partito repubblicano ha superato, nella Camera dei rappresentanti, le resistenze di una parte dell’ala più rigida, con una maggioranza molto risicata di 220 contro 213 seggi. Questo ha aperto la strada all’accelerazione in aula per l’approvazione della legge fiscale fortemente voluta da Donald Trump, che ha definito il provvedimento “una grande meravigliosa legge”. In realtà i mercati non hanno risposto con lo stesso entusiasmo.
L’attenzione si è concentrata sui titoli di Stato statunitensi, i famosi Treasury, considerati un tempo un rifugio sicuro per gli investitori. Negli ultimi tempi, invece, sono stati segnali di una crescente sfiducia. I rendimenti sui bond a lunga scadenza, come quelli a 30 anni, hanno superato il 5%, mentre quelli a 10 anni si sono attestati intorno al 4,53%. Ricordiamo che i rendimenti si muovono in direzione opposta al prezzo; dunque l’aumento dei tassi segnala una diminuzione del valore di questi titoli.
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Questi mutamenti riflettono i timori degli investitori riguardo alla sostenibilità del debito e alla credibilità delle politiche fiscali americane, oggi concentrate su tagli di tasse e deregolamentazione senza misure parallele per incrementare le entrate. Washington si prepara a un voto cruciale, ma la tensione non accenna a scendere e la borsa già si muove sulla scia di questa incertezza politica.
Il declassamento di moody’s e le previsioni economiche sul debito Usa
La scorsa settimana l’agenzia Moody’s ha ridotto il rating degli Stati Uniti, togliendo l’ultima tripla A rimasta. Questa decisione è stata motivata da un significativo calo della fiducia nei confronti delle scelte politiche americane. Da una parte, l’amministrazione ha adottato una linea dura sul piano commerciale con diversi paesi esteri, dall’altra ha promosso una deregolamentazione fiscale che potrebbe far lievitare il debito pubblico oltre livelli critici già raggiunti.
Secondo le stime, il pacchetto fiscale di Trump potrebbe far aumentare il debito pubblico di tre o fino a cinque trilioni di dollari nei prossimi dieci anni. Ciò farebbe schizzare il rapporto debito/Pil oltre il 135%. In questo scenario, il deficit federale ha già raggiunto il 6,4% del Pil, circa il doppio della media storica negli Usa, e le proiezioni indicano un possibile aumento fino quasi al 9% entro il 2035.
Gita Gopinath del Fondo Monetario Internazionale ha sottolineato che i deficit sono “troppo grandi e vanno ridotti”. Non si prevede un rischio di default imminente, ma lo “storico privilegio” degli Usa in termini di costo contenuto del servizio del debito comincia a sparire. La spesa per interessi pubblici, che lo scorso anno era pari al 3,1% del Pil, potrebbe arrivare a oltre il 4% in pochi anni, un livello mai visto.
Le preoccupazioni europee e gli effetti sulle finanze e stabilità degli altri paesi
L’impatto delle scelte americane non riguarda solo gli Usa. Anche in Europa osservano con attenzione la situazione. Luis de Guindos, vicepresidente della Bce, ha commentato che il declassamento era in qualche modo previsto, ma ha specificato che vanno seguite con molta attenzione le politiche di bilancio americane. I movimenti dei rendimenti sui titoli di Stato Usa sono molto sensibili agli sviluppi normativi e fiscali.
Per ora i mercati dei titoli sovrani europei mantengono stabilità e spread contenuti, ma la situazione potrebbe cambiare rapidamente. Le tensioni commerciali causate dai dazi imposti da Washington rischiano di avere ripercussioni pesanti sulle imprese e sulle famiglie europee.
La Bce nel suo rapporto sulla stabilità finanziaria indica chiaramente come queste frizioni creino rischi per la crescita e per la stabilità del sistema bancario e del credito non bancario. Rischi che derivano da un contesto globale meno prevedibile, con effetti che si ripercuotono ben oltre i confini americani.
Le difficoltà del settore privato tra dazi, costi e competitività
Il settore privato finisce per pagare il prezzo più alto delle tensioni politiche e fiscali di Washington. L’aumento dei dazi fa salire i prezzi delle importazioni, colpendo i consumatori europei, ma anche le imprese che dipendono da materie prime e componenti esteri. Le ritorsioni commerciali di altri paesi riducono la competitività delle esportazioni americane.
Un esempio concreto viene da Nvidia, leader mondiale nella produzione di semiconduttori per l’intelligenza artificiale. Il suo amministratore delegato Jensen Huang ha definito un “fallimento” il controllo Usa sull’export di microchip verso la Cina. Da quando sono state introdotte le norme restrittive, la quota di mercato della società in Cina è calata drasticamente, dal 95% al 50%.
Nonostante la promessa di stimolo alla crescita interna, molti dubitano che la legge fiscale porterà benefici concreti al Pil. Il Rappresentante del Commercio Usa aveva ipotizzato che dazi elevati avrebbero riempito le casse federali e attirato investimenti esteri, ma la realtà mostra segnali diversi, con possibili danni sull’economia americana e globale.
La crisi di fiducia sul dollaro e il ruolo globale degli Stati Uniti
Il sistema finanziario degli Usa è strettamente intrecciato con l’economia mondiale, in particolare attraverso il ruolo del dollaro come valuta di riserva internazionale. Matthew Klein, autore di The Overshoot, ricorda alcune cifre: il 60% delle riserve valutarie mondiali è in dollari, così come l’80% del commercio transfrontaliero al di fuori dell’Europa.
Questo conferma che il dollaro rimane fondamentale, ma mette in luce anche la dipendenza Usa dalla cooperazione di altri paesi. Da aprile 2025 la fiducia nel biglietto verde si è ridotta sensibilmente, riflettendo le tensioni legate soprattutto alla politica fiscale e commerciale degli Stati Uniti.
Un sondaggio Reuters tra economisti ha evidenziato che oltre il 55% ritiene che le politiche di Trump abbiano danneggiato in modo significativo l’economia statunitense. Aditya Bhave, economista della Bank of America, ha sottolineato che Moody’s sembra mandare un avviso: senza una svolta nelle scelte fiscali, i dazi potrebbero diventare l’unica opzione per limitare il deficit.
Gli investitori stanno spostando capitali verso paesi come Giappone, India e alcune zone d’Europa. Crescono le coperture contro il dollaro, atteggiamento che non si vedeva da anni, secondo Citigroup. Jane Fraser, amministratrice delegato di Citi, parla apertamente di uno “shock di fiducia” che si manifesta sia nel breve che nel lungo periodo.
L’equilibrio compromesso tra deficit commerciale e fiscale
Oltre al grande “privilegio” Usa di poter pagare poco per il proprio debito, Klein evidenzia un “onere esorbitante”. Gli americani devono indebitarsi molto per mantenere l’economia quasi a pieno regime. Inoltre, a causa del deficit commerciale storico, l’economia statunitense consuma più di quanto produce e spende più di quanto incassa.
La copertura di questo squilibrio passa attraverso la vendita di asset o la creazione di nuovi debiti, alimentando la domanda globale di dollari. Tuttavia, la nuova politica che punta a ridurre i deficit commerciali attraverso una guerra commerciale globale rompe questo meccanismo.
In passato la domanda estera per beni americani permetteva ai mercati di tollerare disavanzi di bilancio crescenti. Ora, con provvedimenti che puntano a riportare la produzione negli Usa e comprimere gli scambi, il sistema rischia di andare in crisi. I mercati e le grandi imprese hanno cercato di avvertire la Casa Bianca, finora senza risultati.
In assenza di cambiamenti concreti nel comportamento internazionale, tentare di mantenere il bilancio in pareggio potrebbe provocare seri danni al settore privato Usa. Lo scenario disegnato riflette una situazione complessa, dove le scelte fiscali americane scuotono l’economia globale, con effetti che ancora devono dispiegarsi pienamente.