Il tribunale di Busto Arsizio, presieduto da Rossella Ferrazzi, si trova di fronte a un caso di grande rilevanza legale che coinvolge l’ex presidente della Camera, Irene Pivetti, accusata di frodi e altri reati in relazione alla compravendita di mascherine cinesi durante l’emergenza Covid. Nelle ultime udienze, il collegio non ha fornito chiarezza sulla competenza territoriale del processo e ha deciso di rinviare la questione alla Corte di Cassazione per una decisione definitiva.
La decisione del tribunale
Il collegio del tribunale ha ricevuto eccezioni da parte dei legali di Pivetti e degli altri imputati riguardo alla competenza territoriale del procedimento. Con gran parte degli avvocati che hanno sollevato dubbi sulla sede del processo, la scelta di rimandare gli atti alla Cassazione appare come un passaggio fondamentale. Sarà ora la Suprema Corte a stabilire se il processo debba svolgersi a Busto Arsizio, dove si trova la procura che ha iscritto il primo reato, a Milano o a Roma.
Nel frangente, i termini di prescrizione sono stati sospesi, permettendo così una maggiore attenzione alla definizione della giurisdizione. Il collegio ha tenuto conto delle argomentazioni presentate dagli avvocati, segnalando la complessità della situazione giudiziaria in corso. La decisione di astenersi temporaneamente dalla definizione del caso consente di evitare criticità e di dare spazio a una possibile revisione delle circostanze legali.
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Le affermazioni di Irene Pivetti
Al termine dell’udienza, Irene Pivetti ha espresso soddisfazione per l’andamento del processo. Ha sottolineato che il collegio ha esaminato seriamente le posizioni difensive presentate, ritenendo che la decisione presa sia frutto di una valutazione equilibrata. Pivetti ha affermato di desiderare di affrontare il processo per dimostrare la sua estraneità rispetto alle accuse mosse nei suoi confronti.
L’ex presidente della Camera ha descritto il caso come un “guazzabuglio di accuse” che le si attribuiscono ingiustamente e ha espresso il desiderio di ripulire il proprio nome. Ha anche accennato ai danni subiti sul piano imprenditoriale, esprimendo il desiderio di ottenere giustizia attraverso il procedimento giudiziario. La sua determinazione a partecipare al processo emerge chiaramente dalle sue parole, evidenziando un’aspettativa di risoluzione e chiarificazione.
Le accuse e il contesto della compravendita di mascherine
Le accuse contro Pivetti e gli altri coimputati sono gravi e comprendono frodi nelle forniture pubbliche, bancarotta, appropriazione indebita, riciclaggio e auto-riciclaggio. La vicenda risale alla fase di emergenza sanitaria, quando la domanda di dispositivi di protezione personale era altissima. Gli inquirenti sostengono che Pivetti, insieme a soggetti come Luciano Mega e altre persone coinvolte, avrebbe comprato mascherine dalla Cina per un valore di circa 35 milioni di euro. Tuttavia, l’accusa afferma che solo una parte di queste forniture sia effettivamente arrivata e che i prodotti ricevuti non fossero conformi agli standard richiesti.
Infatti, gli investigatori sostengono che siano state consegnate solo mascherine per un valore di 10 milioni, contro i 35 inizialmente pattuiti, e che tali dispositivi fossero di qualità scadente e, in alcuni casi, dotati di un falso marchio CE. La gravità di queste accuse e l’importo coinvolto rendono il caso di particolare rilievo nel contesto delle indagini legate a frodi durante la pandemia. L’attesa per la decisione della Cassazione non rappresenta solo una questione legale per Pivetti, ma anche un episodio emblematico di un periodo storico caratterizzato da sfide senza precedenti per il sistema sanitario e commerciale.