Nel linguaggio quotidiano saltano spesso fuori dubbi sull’italiano corretto, dalla punteggiatura alle parole da scrivere con accenti o apostrofi. Molti di questi incertezze interessano sia chi scrive con disinvoltura, sia chi si avvicina alla lingua. Il professor Giuseppe Patota, docente di linguistica italiana all’università di Siena e coautore del libro La lingua verde, ha chiarito diverse di queste domande frequenti, indicando quali forme risultano più diffuse e accettate nella pratica attuale.
I dubbi sull’uso di apostrofi e accenti nelle parole più comuni
La questione su come scrivere “un po’” o “un pò” è tra le più comuni. Secondo Patota, la forma giusta è “un po’” con l’apostrofo, scelta basata sull’uso prevalente nella comunità dei parlanti. Non si tratta di una regola imposta da grammatici inflessibili, ma di un orientamento consolidato dalla pratica comune nel corso del tempo. L’accento grave su “pò” non trova spazio in questa espressione.
Altro quesito ripetuto riguarda “qual è“. In tanti si chiedono se serva l’apostrofo dopo “qual”. La forma corretta è senza apostrofo. Anche qui l’indicazione deriva dall’insieme degli usi maggioritari e dalla coerenza con la tradizione ortografica. Insomma, nessuna elisione da segnalare in questo caso.
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Come si pronunciano le parole con accenti variabili?
Parlare correttamente non è solo una questione di scrittura ma di suoni. Patota sottolinea che certe parole sono soggette a varianti nella pronuncia, che spesso provocano dubbi. Prendiamo “amàca” o “àmaca”: la pronuncia giusta è con accentazione sulla seconda “a”, cioè amàca. Nel caso di nomi geografici come Friùli o Frìuli, la forma corretta è Friùli. Questo deriva dall’origine latina “Forum Iulii”, che sostiene la posizione del accento.
Altri esempi riguardano nomi propri internazionali integrati nell’italiano, come Nobel. Qui la pronuncia corretta sarebbe Nobèl, ma l’uso ormai diffuso con accento sulla prima sillaba Nòbel è ampiamente accettato. La lingua cambia in base a chi la parla e una volta selezionate alcune varianti queste diventano normali.
Termini composti e parole dalla doppia grafia: cosa accettare
Anche nella composizione delle parole sorgono insicurezze. Ad esempio, si dice “aeroporto” e non “aereoporto“. La forma senza la vocale “e” in più è quella standard, comune a tutti i termini che iniziano con “aero-”. Un altro caso è “complementarità” contrapposto a “complementarietà“: soltanto la prima versione è corretta, mentre la seconda è da evitare.
Poi ci sono parole più insidiose, come “meteorologo” o “metereologo“. La versione giusta è la prima, “meteorologo“, mentre l’altra è una forma popolare diffusa, ma non riconosciuta dalla norma. Parlando di verbi come “ubbidire” e “obbedire“, entrambe le forme sono accettabili, ma “ubbidire” risulta più frequente nell’uso attuale. Questa doppia accettazione testimonia le variazioni interne alla lingua.
Un ultimo esempio riguarda la parola “alcol“, che può essere scritta con una o due “o”. Entrambe le grafie vengono tollerate, anche se la forma singola rimane la più prevalente. Questi esempi mostrano come l’italiano presenti ancora diverse alternative ammesse senza perdita di correttezza.
La punteggiatura e l’uso improprio della virgola
Uno degli errori più ricorrenti riguarda la punteggiatura, in particolare l’eccessivo ricorso alla virgola. Patota evidenzia come nella scrittura recente la virgola venga sfruttata in maniera “indiscriminata”, diventando una specie di coltellino svizzero per molte pause o cambi d’idea. In realtà si dovrebbe scegliere tra punto, punto e virgola, o due punti, a seconda della struttura del discorso.
La difficoltà nasce dal fatto che molti non studiano a fondo la grammatica della punteggiatura, credendo che si tratti di scelte soggettive e non regolamentate. Senza un corretto uso dei segni si rischia però di sbilanciare il ritmo e la chiarezza del testo, confondendo il lettore. Imparare le funzioni specifiche di virgola, punto e altri segni è quindi un passo essenziale per scrivere meglio.
Tra norme e varietà: la lingua italiana in movimento
Il libro di Patota e Della Valle mette in luce la natura fluida dell’italiano contemporaneo, che continua a cambiare integrando forme diverse e accogliendo varietà d’uso. In certi casi si possono usare o accettare entrambe le forme alternative, non per debolezza ma proprio per la ricchezza linguistica.
Molti dubbi emergono proprio perché l’italiano non è immutabile. Il dialogo tra tradizione e nuove abitudini porta spesso a forme in concorrenza. L’importante, secondo Patota, è avere strumenti per distinguere ciò che è corretto dalla semplice variante popolare o regionale, per scrivere e comunicare con chiarezza e consapevolezza.
Così la lingua si presenta oggi, attraversata da tensioni e incertezze, ma anche piena di interesse per chi la usa e vuole conoscerla meglio, nella città, nelle storie di tutti i giorni, negli scritti e nelle notizie che si raccolgono intorno.