Gli Stati uniti valutano l'intervento diretto contro le basi nucleari di teheran nel conflitto israele-iran

Gli Stati uniti valutano l’intervento diretto contro le basi nucleari di teheran nel conflitto israele-iran

La Casa Bianca valuta un possibile attacco militare agli impianti nucleari iraniani di Fordow, mentre Donald Trump coordina le forze americane tra pressioni interne e rischi di escalation nel conflitto Israele-Iran.
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La Casa Bianca, guidata da Donald Trump, valuta un possibile attacco militare agli impianti nucleari iraniani di Fordow, mentre tensioni tra Usa, Israele e Iran crescono, con divisioni interne sull’opportunità di un intervento diretto. - Gaeta.it

La Casa Bianca si trova davanti a una scelta delicata dopo quasi una settimana di scontri tra Israele e Iran. Il presidente Donald Trump, tornato a Washington anticipatamente dal G7 in Canada, ha riunito il suo team di sicurezza nazionale nella Situation Room per discutere se aprire una nuova fase nel conflitto mediorientale. Al centro della riflessione c’è la possibilità di attaccare gli impianti nucleari iraniani, in particolare Fordow, usando la potente bomba Gbu-57 Mop, la cosiddetta “madre di tutte le bombe”. Questa decisione potrebbe trasformare radicalmente il ruolo degli Stati Uniti nel conflitto e influenzare la stabilità della regione.

La scelta di trump alla vigilia di una possibile escalation militare

Donald Trump ha lasciato prematuramente il vertice del G7 a Kanata, motivando la partenza con l’escalation nel Medio Oriente. Fonti ufficiali della Casa Bianca hanno confermato l’urgenza del momento, mentre lo stesso presidente ha manifestato messaggi ambigui riguardo le sue vere intenzioni. Attraverso dichiarazioni pubbliche, Trump ha negato che la sua decisione fosse collegata a un possibile cessate il fuoco, criticando invece i leader europei, in particolare Emmanuel Macron, che auspicavano diplomatiche aperture.

Il presidente ha anche espresso posizioni contraddittorie riguardo il conflitto: da una parte non si aspetta che Israele fermi la pressione su Teheran, dall’altra ha dichiarato la necessità di porre fine al programma nucleare iraniano. Ha lasciato la porta aperta a qualsiasi evoluzione parlando di quanto sarebbe chiaro “nei prossimi due giorni”, senza però fornire dettagli precisi. Testate come il New York Times segnalano che la decisione chiave è se americani e israeliani debbano colpire direttamente il sito di Fordow, un impianto altamente fortificato sotto terra, raggiungibile solo da grosse bombe antibunker sganciate da B-2, un tipo di bombardiere presente solo negli Stati Uniti.

Il coordinamento militare americano

Nel frattempo, la Situation Room è diventata luogo di coordinamento, mentre l’amministrazione americana sposta risorse militari in Europa e nel Medio Oriente. Aviazione tattica, rifornitori in volo e un secondo gruppo di attacco navale con la portaerei USS Nimitz si stanno muovendo in zona per prepararsi ad eventuali operazioni belliche. Alcuni funzionari israeliani confidano che Trump sia vicino alla scelta di intervenire militarmente, sostenuti dal rafforzamento americano in quella parte del mondo.

Le capacità militari americane e la base di fordow al centro dell’attenzione

L’impianto nemico più controverso si trova a Fordow, nei pressi di Qom, in Iran. Qui Israele e Usa ritengono che siano in corso attività di arricchimento dell’uranio, in violazione degli accordi internazionali. Il sito è costruito all’interno di una montagna, circondato da strutture che lo rendono difficilmente attaccabile da armi convenzionali. Questo spiega l’interesse per la Gbu-57 Mop, un ordigno da 13,6 tonnellate capace di penetrare fino a 60 metri di cemento armato prima di esplodere.

Al momento, i caccia stealth B-2, primari vettori di questa bomba, non sono dispiegati in Medio Oriente. A maggio alcuni di questi bombardieri sono rientrati negli Stati Uniti dalla base di Diego Garcia nell’Oceano Indiano, lasciando meno opzioni operative immediate. Donald Trump però ha mobilitato forze di supporto chiave: aerei cisterna per rifornire in volo i caccia e la portaerei USS Nimitz, che può ospitare velivoli e mezzi per azioni offensive su larga scala.

Valutazioni di esperti

L’impressione di alcuni osservatori è che Trump stia costruendo uno scenario militare completo per poter colpire Fordow, anche se non ha ancora deciso formalmente. Secondo Daniel Shapiro, ex ambasciatore Usa in Israele, questa manovra serve anche a mettere pressione sull’Iran, costringendolo a negoziare concedendo elementi importanti pur mantenendo aperta la minaccia di un attacco diretto.

Le ipotesi su come gli Stati uniti potrebbero agire nel conflitto israele-iran

Gli analisti immaginano due scenari principali per la conduzione americana. Il primo prevede un coinvolgimento diretto, con bombardamenti sull’impianto di Fordow da parte degli Usa, con l’impiego concreto della Gbu-57 Mop. Questo passaggio rappresenterebbe un salto nell’intensità del conflitto e la trasformazione degli Stati Uniti da sostenitori indiretti a combattenti attivi. Trump, in passato, ha più volte promesso di evitare nuove guerre estere ma ora si trova a dover scegliere tra mantenere quella promessa o assecondare le richieste di Netanyahu, che spinge per una risposta forte all’Iran.

I messaggi presidenziali, divisi tra avvertimenti di evacuazione di Teheran e dichiarazioni sulla necessità di bloccare il programma nucleare iraniano, appaiono intenzionalmente contradditori. Questo comportamento potrebbe rispondere alla cosiddetta strategia del “madman”, un approccio teorico che punta a mantenere avversari e alleati in uno stato di incertezza per spingerli a cedere.

Secondo scenario possibile

Il secondo scenario è più prudente. Gli Stati Uniti potrebbero limitarsi a supportare Israele sul piano logistico e difensivo, senza lanciare attacchi diretti. Le forze navali e le batterie missilistiche americane sono già impiegate per contrastare eventuali rappresaglie iraniane, ma la mobilitazione bellica più ampia resterebbe esclusa. Alcuni consiglieri del presidente e il vicepresidente JD Vance spingono per questo approccio, scoraggiando qualsiasi coinvolgimento diretto delle truppe americane per timore di seconde guerre costose e lunghe.

La divisione all’interno del fronte maga e gli effetti sulle decisioni di washington

Il movimento Maga e i suoi esponenti influenti stanno mostrando scetticismo riguardo a un nuovo intervento militare in Medio Oriente. Personalità come Tucker Carlson criticano apertamente la possibile partecipazione americana, definendo “guerrafondai” chi spinge Trump a ordinare raid o a schierare forze in combattimento. Anche figure estreme del Congresso, come Marjorie Taylor Greene, danno voce a un’opposizione netta: per loro l’impegno militare all’estero va evitato, per rispetto al principio “America First” che ispira gran parte del supporto elettorale di Trump.

Nel Pentagono, poi, esponenti vicini alla linea Maga come Elbridge Colby discutono su come riadattare le priorità strategiche, spostando attenzione e risorse dalla regione mediorientale alla sfida crescente posta dalla Cina. Questa posizione, che avvicina le scelte militari a esigenze economiche e politiche più ampie, potrebbe influenzare le decisioni finali sull’intervento in Medio Oriente.

Una posizione ancora in evoluzione

Nel complesso, la posizione americana resta in evoluzione, con una forte tensione tra chi spinge per un’azione militare decisa e chi preferisce contenere i rischi evitando di esporsi troppo in un’area che continua a essere instabile e complessa. La scelta di Donald Trump nei prossimi giorni potrebbe definire non solo il destino del conflitto israelo-iraniano ma anche la direzione futura della politica estera americana.

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