Gli Stati Uniti spediscono migranti illegali in libia e altri paesi sotto accusa per diritti umani

Gli Stati Uniti spediscono migranti illegali in libia e altri paesi sotto accusa per diritti umani

Gli Stati Uniti intensificano le deportazioni di migranti verso paesi come Libia, Salvador e Uzbekistan, suscitando preoccupazioni per i diritti umani, famiglie spezzate e controversie politiche internazionali.
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Gli Stati Uniti hanno intensificato le deportazioni di migranti verso paesi terzi come Libia, Salvador e Uzbekistan, sollevando preoccupazioni per le condizioni disumane e le violazioni dei diritti umani, con casi controversi di famiglie separate e pressioni diplomatiche internazionali. - Gaeta.it

Negli ultimi mesi, gli Stati Uniti hanno intensificato le deportazioni di migranti irregolari verso paesi terzi, creando tensioni e preoccupazioni internazionali. Tra le destinazioni scelte spicca la Libia, un paese segnato da gravi violazioni dei diritti umani e noto per le attività di traffico di persone. L’argomento ha acceso dibattiti nel mondo politico e nei media, soprattutto in relazione alle condizioni in cui vengono trattenuti e trasferiti i migranti. Nel frattempo, altre nazioni come il Salvador e la Uzbekistan sono state coinvolte in queste operazioni, con casi controversi che coinvolgono anche famiglie separate.

La libia scelta come destinazione per le deportazioni dagli stati uniti

La decisione di Washington di selezionare la Libia come paese di destinazione per alcuni deportati ha destato forte preoccupazione internazionale. In un paese in cui sequestri, torture e altre forme di violenza sui migranti sono state ampiamente documentate, la scelta americana rappresenta una svolta significativa nel programma di espulsioni.

Fonti vicine all’amministrazione statunitense hanno confermato al New York Times che il governo sta preparando voli militari per trasportare gruppi di migranti in Libia. Finora, le deportazioni maggiormente pubblicizzate hanno riguardato migranti venezuelani accusati di crimini e destinati al Salvador, dove il presidente Nayib Bukele ha stretto un’alleanza controversa con l’amministrazione Trump. Le accuse contro Bukele e il suo governo si concentrano su un presunto patto con le gang criminali locali, le cosiddette maras. Un’inchiesta giornalistica pubblicata dal quotidiano salvadoregno El Faro ha portato alla luce questo legame e mette a rischio sette giornalisti con possibili mandati di arresto.

Per quanto riguarda la Libia, essa appare tutt’altro che un luogo sicuro per chi vi viene rimandato. Organizzazioni internazionali e media hanno documentato che i migranti lì subiscono condizioni disumane. Non a caso, la Libia è considerata un punto critico per il traffico di esseri umani nel Mediterraneo. La scelta degli Usa riflette un cambio di strategia rispetto al passato e solleva interrogativi sul rispetto delle normative internazionali sui diritti dei migranti.

Rotte disperse: da uzbekistan a ruanda, il nuovo volto delle espulsioni

Oltre alla Libia, altre destinazioni ricevono migranti espulsi dagli Stati Uniti, aprendo scenari meno noti ma ugualmente complessi. In questo contesto, s’inserisce l’invio di almeno 131 persone di origine centroasiatica in Uzbekistan. Questa deportazione testimonia l’ampiezza geografica di queste operazioni, che coinvolgono aree meno sotto i riflettori mediatici rispetto ad America centrale e Caraibi.

Da segnalare anche il caso di un migrante iracheno trasferito in Ruanda. Situazioni come questa evidenziano modalità diverse di gestione dei ritorni forzati, innescando critiche per la mancanza di trasparenza e supporto verso individui spesso in situazione vulnerabile.

Tra le ipotesi emerse, il Washington Post ha riportato che l’Ucraina sarebbe stata contattata per accogliere un numero indefinito di migranti, ma avrebbe rifiutato. L’amministrazione americana ha fatto pressioni su vari governi anche attraverso offerte economiche per accogliere o scoraggiare la permanenza sul suolo statunitense di individui privi di permessi regolari.

Incentivi economici per il rimpatrio volontario: la nuova strategia Usa

Il dipartimento per la sicurezza interna degli Stati Uniti ha adottato una misura che permette a certi migranti irregolari di ricevere un supporto economico in cambio del loro ritorno nel paese d’origine. L’iniziativa si basa su un’offerta che copre costi di viaggio e una somma che può arrivare fino a 1.000 dollari per chi dimostri di aver lasciato gli Usa. Questa formula si rivolge a chi non è accusato di reati e vuole evitare lunghe procedure di espulsione o detenzione.

Secondo i dati diffusi, almeno un migrante ha già accettato di rientrare in Honduras con questo meccanismo. Il dipartimento ha messo a disposizione biglietti aerei per altre persone nelle settimane successive. Per certificare la partenza, si utilizza un’applicazione chiamata CBP Home, che registra il fatto in modo digitale.

Questa nuova strategia cerca di alleggerire il carico delle strutture di detenzione e limitare impatti sociali negativi, proponendo al tempo stesso una soluzione più rapida per gestire i flussi migratori. Tuttavia, la misura solleva domande sull’efficacia reale e sul destino dei migranti nel paese d’origine, dove le condizioni a volte restano precarie.

Famiglie spezzate e accuse di rapimenti nelle deportazioni verso il salvador

L’espulsione di migranti venezuelani in Salvador si intreccia con storie drammatiche e domande sulle garanzie dei diritti umani. Il presidente Trump ha invocato una legge risalente al 1798 per giustificare queste espulsioni che riguardano persone ritenute una minaccia alla sicurezza nazionale, soprattutto per il presunto collegamento con la gang “tren de aragua”.

Un documento declassificato diffuso dal New York Times rivela però che il governo di Nicolás Maduro non ha una politica di cooperazione con questa gang, smentendo legami ufficiali tra il regime venezuelano e il gruppo criminale. Le accuse si basano spesso su elementi come tatuaggi, ma gli Stati Uniti rifiutano di rimandare molti di questi migranti in Venezuela.

Tra i casi più controversi figura quello della bambina Maikelys Antonella Espinoza, di soli due anni. Il padre è detenuto in una prigione di massima sicurezza in Salvador, accusato di far parte di tren de aragua senza aver avuto un processo. La madre è stata rimandata in Venezuela, mentre la bimba è stata affidata a una famiglia adottiva negli Usa.

La madre ha denunciato un vero e proprio “rapimento” da parte delle autorità americane, e la corte suprema venezuelana ha ordinato il rimpatrio della bambina. Anche il presidente Maduro è intervenuto duramente sulla vicenda, chiedendo che gli Stati Uniti restituiscano la neonata immediatamente. Queste dinamiche mettono in luce i rischi umani legati alle deportazioni e le tensioni diplomatiche che ne derivano.

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