Nel cuore del confine tra Siria, Iraq e Turchia si dipana una storia fatta di guerre, diaspora, fede e rinascita. Le minoranze cristiane, duramente colpite da decenni di conflitti e abbandonate da molte istituzioni, stanno lentamente tornando nei loro villaggi, cercando di ricostruire ciò che resta di terre lontane e ferite. Tra queste realtà emergono volti come quello di Seydi Gösteris, nata a Idil, un tempo piccolo paradiso mesopotamico quasi cancellato dalla guerra, ora impegnata a portare aiuti umanitari e a far rivivere una comunità segnata dalla fatica della storia.
La diaspora cristiana e la lenta ricostruzione dei villaggi in turchia siriaca
La regione della Turchia siriaca, poco nota fino a poco tempo fa, ha vissuto lunghi decenni di abbandono da parte delle comunità cristiane. Le guerre degli ultimi trent’anni, i conflitti tra turchi e curdi e la pressione dei radicalismi religiosi hanno spinto numerosi cristiani a lasciare questi territori per rifugiarsi principalmente in Europa. Monsignor Paolo Bizzeti, presidente di Caritas Anatolia, ricorda che le minoranze sono state le prime vittime di queste crisi: “Quando le guerre del Golfo si sono unite a correnti fondamentaliste, le comunità cristiane ne hanno sofferto particolarmente.”
Negli ultimi anni, però, si assiste a un lento ma significativo ritorno. Le testimonianze raccolte nella zona indicano che alcuni villaggi come Idil stanno ricostruendo legami antichi insieme ai loro territori. Questa rinascita ha anche coinvolto il turismo religioso, comunque ancora agli albori in zone dove, fino a poco tempo fa, il passaggio era raro e pericoloso. Ma la nuova stagione porta con sé anche tensioni e difficoltà dovute a un impatto di tipo sociale e ambientale ancora non facile da gestire.
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Nemmeno la natura ha fatto sconti: la costruzione di dighe sul fiume Eufrate, vitali per l’agricoltura locale, ha causato una vera e propria guerra dell’acqua tra Turchia, Siria e Iraq, prosciugando aree pianeggianti un tempo ricche di vita e coltivazioni. La terra che un tempo ospitava frutteti e vigne ora vede solo piccoli alberelli piantati di recente, segno di tentativi di rifiorire tra macerie e polvere.
La rinascita di idil e le storie di fede che attraversano generazioni
Idil, conosciuta anche come Beth Zabday o Azekh, è stata per secoli un punto di riferimento della letteratura e della cultura siriaca. Nei primi secoli era un crocevia religioso frequentato da figure sacre come Maria, san Giovanni e Maria Maddalena, che secondo la tradizione passarono da qui. La comunità cristiana locale resistette anche a lunghi assedi, come quello del 1915 durante cui un’apparizione della Vergine Maria in difesa del paese contribuì a respingere le truppe turche.
La guerra degli anni Ottanta e i successivi conflitti tra turchi e curdi hanno però cancellato quasi tutto: Idil perse quasi la totalità della sua popolazione cristiana e quasi tutte le chiese furono distrutte o abbandonate. Oggi, restano solo alcuni edifici restaurati, grazie soprattutto al sostegno della diaspora tornata a investire in queste radici lontane. Seydi Gösteris, originaria del villaggio, ha fondato un’agenzia turistica dedicata a far conoscere la Turchia siriaca e a sostenere la conservazione dei suoi luoghi sacri. Insieme ai suoi collaboratori organizza visite e pellegrinaggi per riportare attenzione su questa storia troppo spesso dimenticata.
Nonostante le difficoltà, il paese ospita oggi circa trentamila abitanti, con una comunità cristiana ancora piccola ma tenace. Le chiese restaurate e le strutture aperte ai pellegrini offrono un segno visibile della volontà di mantenere viva la memoria e la presenza di una civiltà che ha attraversato millenni.
La testimonianza di seydi gösteris e il ritorno alla fede dopo anni di dolore
Seydi Gösteris è una figura centrale in questo racconto. Nata a Idil nel 1975, emigrò in Svizzera in giovane età. La sua esperienza di fede fu travagliata: “Per anni non ho frequentato più la chiesa, mi ribellavo a Dio per le sofferenze dei miei”, racconta. Dopo la guarigione miracolosa della madre nel 1995, realtà che i medici non riuscirono a spiegare, ritrovò la sua fede e decise di tornare nelle terre d’origine.
Il ritorno a Idil fu lento e difficile. Iniziò costruendo una casa da zero e affrontando numerosi ostacoli finanziari e logistici. Le risorse scarse e il contesto instabile non consentivano certezze per il futuro. Ma la determinazione di Seydi si rafforzò con il tempo, trovando aiuto in vari incontri e progetti, tra cui la collaborazione con giornalisti e associazioni umanitarie.
Negli anni successivi, Seydi si è impegnata a portare aiuti umanitari ai rifugiati yazidi, ai cristiani e ad altre minoranze perseguitate soprattutto in Iraq e Siria. Ha raccolto fondi, coordinato spedizioni di materiale di prima necessità, affrontando lunghissime file alla dogana e passaggi complicati. La sua opera continua anche in Libano, dove mantiene stretti rapporti con varie comunità cristiane presenti sul territorio.
L’impegno umanitario per rifugiati e bambini tra iraq, siria e libano
Dal 2014 il lavoro di Seydi si è allargato, portandola a visitare i campi profughi e le città devastate dei paesi vicini. Con il supporto dell’associazione Il Giardino dei Bambini, con sede in Svizzera, ha organizzato la prima spedizione di 22 tonnellate di aiuti destinati a chi è scappato dall’avanzata dell’Isis. Lo sforzo coinvolge comunità cristiane, yazide, curde, islamiche, tutte accomunate dalla necessità di ricostruzione.
Tra i progetti realizzati si contano la distribuzione di viveri e medicinali, l’apertura di sartorie e mense, oltre ad interventi su scuole, ospedali e strutture di assistenza. In particolare, a Aleppo è già attivo un centro per bambini abbandonati, mentre si lavora per aprirne altri a Homs e Latakia. Anche nella provincia di Idlib, grazie a donazioni raccolte in viaggi con gruppi di pellegrini, sono stati forniti materiale scolastico e vestiti ai piccoli bisognosi.
La situazione resta però critica. Le città della Siria, devastate da anni di guerra, mostrano una crescente povertà e una condizione sanitaria compromessa, soprattutto tra i bambini. L’aiuto umanitario svolge qui un ruolo fondamentale per i bisogni più urgenti e per il sostegno psicologico e sociale dei più fragili.
La frontiera di nusaybin e la speranza nel futuro della comunità cristiana
A Nusaybin, città di confine turco-siriana, si respira la stessa tensione di un territorio sospeso tra passato e presente. Qui si trova il più grande battistero del mondo antico, nel sito della chiesa di san Giacomo, uno spazio sacro attorno a cui si concentra la memoria delle origini cristiane in questa zona.
Il vescovo Filoksinos Saliba Özmen, incontrato a Mardin, esprime un desiderio cauto ma lucido: auspica una ricostruzione sociale che restituisca dignità a tutti i popoli, in particolare alle minoranze cristiane. Crede importante il ruolo che l’Europa potrà avere come ponte tra oriente e occidente in questa fase delicata. Per ora la situazione politica e sociale resta complessa e piena di incognite.
Al confine la vita scorre tra piccoli segnali di rinascita e rimanenze di conflitti. Ad esempio, un gruppo di bambini gioca per strada, ma i genitori li mettono in guardia dal superare certi limiti: al di là ci sono frontiere instabili, la guerra appena oltre. È un’esistenza sospesa, fatta di speranza e cautela, dove i legami umani e culturali si intrecciano in un presente incerto che si affaccia a una possibile ripresa, tra luci e ombre di una terra antica.