Le fave sono un alimento tipico della cucina italiana, soprattutto nella primavera di maggio, ma rappresentano un rischio serio per molte persone. Circa 400 mila italiani soffrono di favismo, una condizione genetica che provoca reazioni avverse anche gravi quando certe sostanze contenute nelle fave vengono ingerite. In questo articolo approfondiamo cosa si nasconde dietro questa malattia, quali sono i sintomi e quali precauzioni adottare.
Favismo: definizione e diffusione in italia
Il favismo è una condizione ereditaria che interessa circa lo 0,4% della popolazione della penisola italiana, ma la sua presenza non è uniforme. La Sardegna registra numeri molto più alti, con oltre il 14% dei residenti portatori della alterazione genetica. Alcune zone, come la provincia di Cagliari, raggiungono addirittura punte del 25%. Anche in Sicilia si segnala una presenza significativa, con circa l’1% della popolazione interessata. A livello mondiale, il favismo riguarda 500 milioni di persone, quindi è una delle carenze enzimatiche più diffuse.
La malattia nasce dalla carenza o dal malfunzionamento di un enzima chiamato glucosio-6-fosfato deidrogenasi . Questo enzima è essenziale per proteggere i globuli rossi dallo stress ossidativo. Quando manca o è insufficiente, alcune molecole contenute nelle fave possono scatenare una crisi emolitica, una reazione in cui si distruggono i globuli rossi in modo repentino.
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I sintomi e le cause del favismo
Le crisi da favismo, o crisi emolitiche, si presentano dopo l’ingestione di fave o di farmaci specifici che rappresentano un trigger per chi ha questa carenza enzimatica. Il sistema immunitario non è coinvolto direttamente nel danneggiamento, infatti si parla di anemia acuta non immune. I globuli rossi si rompono con rapidità, causando symptomi evidenti e a volte pericolosi.
Le manifestazioni più comuni sono stanchezza profonda, febbre, tachicardia, dolori forti all’addome, urine scure e ingiallimento della pelle . Questi segnali possono apparire già dopo poche ore o fino a tre giorni dall’esposizione alla sostanza scatenante. In alcuni casi, l’infezione stessa può provocare crisi simili, anche senza l’ingestione di fave. Alcuni farmaci, fra cui antimalarici, possono indurre lo stesso tipo di reazione e per questo vanno sempre prescritti con attenzione.
Sfatare il mito dell’inalazione del polline delle fave
Circola spesso la convinzione che anche solo l’inalazione del polline delle fave possa scatenare una crisi nei soggetti con favismo. Questa idea è priva di fondamento scientifico: l’unico pericolo reale deriva dall’assunzione diretta o dall’ingestione di molecole contenute nelle fave o da farmaci specifici.
Marco Silano, responsabile del dipartimento malattie dell’istituto superiore di sanità, precisa che “la diagnosi permette di vivere senza paura questa condizione evitando il consumo di fave e alcuni medicinali.” La semplice presenza delle fave in un ambiente non è pericolosa; serve un contatto diretto attraverso il cibo o i farmaci coinvolti.
Precauzioni e gestione medica del favismo
Una volta diagnosticato, il favismo può essere gestito evitando completamente le fave e i farmaci potenzialmente rischiosi. I medici devono far eseguire test preventivi per verificare la presenza del difetto enzimatico prima di prescrivere farmaci come alcuni antimalarici. In caso di crisi emolitica, il paziente deve ricevere cure immediate in ospedale per gestire l’anemia acuta.
Le crisi possono essere gravi, ma non mancano le terapie efficaci che tengono sotto controllo i sintomi e limitano i danni all’organismo. Il rischio si riduce sensibilmente evitando gli alimenti e i farmaci che scatenano la reazione.
Nel territorio italiano, soprattutto in Sardegna, dove la frequenza è alta, è fondamentale che medici e pazienti abbiano piena consapevolezza del favismo. Il riconoscimento dei sintomi e la tempestività nell’intervento possono evitare complicazioni pesanti e salvare vite.