Il fondatore di SpaceX minaccia il ritiro della navicella Dragon: un gesto che potrebbe bloccare i rifornimenti alla ISS e compromettere il programma Artemis della NASA.
Nel pieno di una tensione crescente tra Elon Musk e l’amministrazione statunitense guidata da Donald Trump, arriva una dichiarazione che ha agitato la comunità scientifica e gli ambienti spaziali internazionali. Il patron di SpaceX ha minacciato di ritirare la navicella Dragon, veicolo protagonista delle missioni di trasporto verso la Stazione Spaziale Internazionale dal 2012. L’annuncio, arrivato in un momento politicamente delicato, potrebbe tradursi in uno strappo operativo con ripercussioni serie sulle strategie spaziali degli Stati Uniti. La Dragon, sviluppata grazie a un partenariato tra pubblico e privato, ha garantito in questi anni continuità ai voli verso la ISS, sostituendo gli Shuttle ritirati nel 2011 e riducendo la dipendenza dai razzi russi Soyuz.
Dragon, un pilastro della logistica spaziale americana
Il programma Commercial Resupply Services, avviato nel 2008, ha trasformato il modo in cui la NASA organizza le sue operazioni. Con un contratto da oltre 1,6 miliardi di dollari, SpaceX ha assicurato più di una dozzina di voli destinati al trasporto di equipaggi e rifornimenti in orbita. La capsula Dragon, al centro di questo programma, ha dimostrato affidabilità nelle manovre di attracco alla ISS e ha permesso agli Stati Uniti di mantenere una presenza stabile nello spazio, anche dopo la fine degli Shuttle.
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Secondo Mark Jernigan, direttore del Rice Space Institute di Houston, Dragon rappresenta un esempio riuscito di sinergia tra pubblico e privato. La possibilità di contare su un vettore commerciale ha permesso alla NASA di contenere i costi e incrementare la frequenza delle missioni. Ma con l’ultima dichiarazione di Musk, questo equilibrio rischia di saltare. L’interruzione del programma Dragon non comporterebbe soltanto un rallentamento operativo, ma metterebbe in discussione la sostenibilità del sistema stesso, ancora privo di una reale alternativa operativa.
Il rischio, sottolinea anche Moriba Jah, docente all’Università del Texas, è quello di ritrovarsi improvvisamente senza un veicolo capace di trasportare astronauti americani. Al momento, SpaceX resta l’unico fornitore statunitense pienamente operativo in questo ambito. Un ritorno ai contratti con Roscosmos, l’agenzia spaziale russa, rappresenterebbe un passo indietro anche sul piano geopolitico. Il settore privato americano, nonostante l’ingresso di Blue Origin, non è ancora pronto a colmare questo vuoto.
I riflessi su Artemis e il futuro dell’esplorazione lunare
Le implicazioni non si fermano all’orbita bassa. SpaceX è anche partner essenziale del programma Artemis, che punta a riportare astronauti sulla Luna entro la fine del decennio. La NASA ha affidato all’azienda di Musk la realizzazione del lander lunare, una componente centrale della missione. La collaborazione è già in fase avanzata, ma l’incertezza generata dalle tensioni politiche e dalle dichiarazioni dell’imprenditore rischia di rallentare le prossime tappe.
Anche Michael Liemohn, dell’Università del Michigan, evidenzia come la mancanza di un’alternativa concreta a Dragon, sia per l’orbita terrestre sia per l’esplorazione lunare, metta in discussione la strategia a lungo termine della NASA. La sola prospettiva di dover riconvertire risorse o progettare da zero nuovi mezzi di trasporto comporterebbe anni di ritardi e spese miliardarie. Nel frattempo, le altre potenze spaziali – dalla Cina alla Russia – continuano ad avanzare con propri programmi, in alcuni casi paralleli a quelli americani.
Sul fronte interno, la tensione tra Musk e la Casa Bianca rischia di incidere anche sulla percezione pubblica. La dipendenza dell’industria aerospaziale da figure private come Musk apre interrogativi sul modello di governance delle missioni spaziali future. L’attuale equilibrio tra agenzia pubblica e colossi privati potrebbe essere messo in discussione proprio a partire da episodi come questo.
L’evoluzione della vicenda resta incerta. Non è chiaro se la minaccia di Elon Musk sia parte di una strategia negoziale o l’inizio di una frattura più profonda. Ma una cosa è evidente: il futuro delle missioni spaziali americane è sempre più legato a decisioni prese fuori dai laboratori, in un campo dove politica, economia e scienza si intrecciano in maniera sempre più stretta.