Il vertice Nato di quest’anno all’Aja si presenta come un banco di prova per le relazioni transatlantiche e le politiche di difesa. Donald Trump arriva nei Paesi Bassi con l’obiettivo di spingere gli alleati europei a intervenire pesantemente sulle spese militari, fissando il limite al 5% del Pil. La tensione sul tavolo riguarda non solo i numeri ma anche un riequilibrio dei ruoli all’interno dell’Alleanza, fra pressioni statunitensi e resistenze europee. Il summit comprende le dichiarazioni di Trump e la risposta dei leader, in un clima segnato da messaggi diplomatici che mostrano le diverse strategie in gioco.
L’attesa di donald trump e il sostegno di mark rutte
Donald Trump ha annunciato durante il volo verso l’Aja, su social come Truth, che il vertice Nato sarebbe stato più tranquillo di altri appuntamenti internazionali a cui ha partecipato, citando quelli con Israele e Iran. Ha espresso il desiderio di incontrare i “buoni amici europei” e di portare avanti accordi significativi. Il messaggio contiene un senso di attesa e una vaga promessa di risultati importanti da raggiungere al summit.
Ad accompagnare Trump c’è il segretario generale della Nato, mark rutte, che ha inviato un messaggio pubblico lodando il lavoro del presidente americano sugli sforzi diplomatici in Iran e sull’incremento delle spese militari europee. Rutte attribuisce a Trump un ruolo decisivo nello spingere gli alleati a impegnarsi a raggiungere il 5% del Pil in spese per la difesa. Il testo sottolinea che questa soglia rappresenterebbe un traguardo storico, mai toccato da altri presidenti americani negli ultimi decenni, e definisce la partecipazione europea come fondamentale e giusta a livello finanziario. Le parole di rutte mostrano apprezzamento per l’iniziativa ma anche la consapevolezza delle sfide che attendono la Nato.
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Il programma del vertice e le promesse degli alleati
Il summit vede la partecipazione di 32 capi di stato e di governo. L’argomento principale riguarda la spinta a superare la soglia del 2% del Pil speso in difesa, attualmente un obiettivo formale dall’accordo di Galles del 2014 e che dovrebbe essere rispettato entro il 2024 da tutti gli alleati. Ora la richiesta si innalza al 5%, sebbene spalmata su un arco temporale lungo, probabilmente fino al 2035. Questo permette di evitare un aumento immediato che rischierebbe di tradursi solo in un aumento delle spese militari senza una reale razionalizzazione.
Questa misura però comporta impegni di bilancio imponenti, soprattutto per paesi come l’Italia, che attualmente dedica circa l’1,5% del Pil alla difesa secondo i dati della Commissione Europea. Passare al 5%, anche nell’arco di molti anni, significherebbe aggiungere enormi importi al bilancio, in un momento storico in cui il debito pubblico supera il 130% del Pil. Lo scenario, quindi, si fa complesso e i governi dovranno valutare come finanziare queste maggiori spese, magari sacrificando altri settori.
Le resistenze europee, italia e spagna si distinguono
Non tutti i paesi membri stanno rispettando la soglia del 2% entro la data stabilita. Italia e Spagna, in particolare, si trovano ancora lontani da questo traguardo, con un discreto ritardo e scetticismo interna riguardo all’innalzamento delle spese. La pressione a spendere di più si scontra con i limiti di bilancio e con la percezione pubblica che questi aumenti potrebbero togliere risorse ad altri servizi e interventi sociali.
La Spagna ha appena annunciato un’intesa con la Nato, riportata da dichiarazioni del suo ministro degli esteri jose manuel albares bueno, che la esenta dall’obbligo di arrivare al 5% del Pil ma la impegna invece a fornire capacità militari equivalenti. Questo dà un’idea di come alcuni membri tentino soluzioni alternative, tese a bilanciare capacità operative e spese finanziarie, senza cedere completamente alla linea statunitense. Questi accordi rivelano che il nuovo modello di difesa comune europeo potrebbe avvicinarsi a una diversificazione delle risorse, con meno rigidità su percentuali fisse e più attenzione alle funzionalità.
Le conseguenze per i bilanci statali e le garanzie di sicurezza globale
L’impatto di una crescita così importante nelle spese militari si riflette immediatamente sui bilanci pubblici. Per paesi come l’Italia si profila una necessità di riallocare fondi, verosimilmente attraverso tagli ad altre aree o aumenti fiscali, scelte che potrebbero alimentare proteste sociali e richieste politiche. L’equilibrio fra sicurezza e benessere economico resta quindi fragile.
La spinta di trump e la sua strategia intensificano il dibattito sul ruolo della difesa collettiva in Europa e sull’impegno finanziario che i singoli stati devono assumersi per rafforzare l’alleanza. I prossimi mesi saranno determinanti per capire se gli accordi ottenuti al vertice si tradurranno in cambiamenti concreti oppure rimarranno dichiarazioni da verificare sul campo. Il summit all’Aja ha così confermato un momento di svolta, con alleati chiamati a decisioni dal peso politico non da poco.