La vicenda di don Paolo Bianciotto, ex parroco di Pinerolo, coinvolge questioni delicate di denaro, fiducia e fragilità psicologica. L’82enne sacerdote è sotto processo a Torino per aver preso ingenti somme di denaro da alcuni fedeli senza restituirle, ma paradossalmente nessuno dei creditori si è detto truffato. I fatti si intrecciano con gestioni finanziarie controverse e un clima che mette sotto accusa la linea tra religione e interessi personali.
Le accuse di circonvenzione e le somme coinvolte
L’accusa, rappresentata dal pubblico ministero Francesco Pelosi, punta a stabilire se don Bianciotto abbia approfittato di persone vulnerabili per ottenere denaro sotto forma di prestiti o donazioni. I testimoni principali sono tre fedeli che avrebbero versato complessivamente 165.000 euro nelle mani del sacerdote. Le promesse di restituzione, presunte o esplicite, non si sono tradotte in rimborsi effettivi. Questi versamenti hanno spinto l’autorità giudiziaria ad aprire un fascicolo per capire la natura e le modalità di questi trasferimenti.
Le cifre appaiono rilevanti soprattutto considerando che i prestatori non hanno mai richiesto indietro le somme. Una donna ha spiegato di aver versato 150.000 euro, sottolineando che la motivazione era la fiducia nel parroco, e che non si aspettava necessariamente il rimborso. Un’altra ha raccontato di aver consegnato 5.000 euro, con la spiegazione che servissero alle attività parrocchiali. Il terzo, amico di don Paolo, ha confidato che i 10.000 euro prestati fossero probabilmente impiegati per gestire strutture ricettive di proprietà del sacerdote.
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Gestione delle strutture e pagamenti anomali
Un aspetto chiave del caso riguarda le due proprietà gestite da don Bianciotto: una casa vacanze in montagna e un albergo al mare. Stando alle deposizioni, i fondi avrebbero alimentato queste attività, che hanno rappresentato una parte importante degli affari economici del sacerdote negli anni scorsi. Dall’istruttoria emerge che prima degli episodi giudiziari, don Paolo aveva effettuato pagamenti per circa 800.000 euro verso una donna e la sua famiglia, movimenti monitorati ma non ritenuti penalmente rilevanti.
Questi trasferimenti hanno alimentato accesi sospetti. Anni fa, alcuni funzionari di curia avevano notificato anomalie nei movimenti finanziari, allertando chi di dovere. Il vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, ha però scelto di non procedere con una denuncia ufficiale, evitando così che il caso si allargasse a contestazioni più gravi. Il vescovo sarà comunque chiamato a testimoniare in aula, a ottobre, per chiarire la posizione della diocesi rispetto alla vicenda.
Testimonianze in aula e difesa del sacerdote
Mercoledì 18 giugno 2025 si sono svolte le audizioni dei testimoni principali nell’aula del tribunale di Torino. Nessuno dei tre fedeli si è detto truffato, anzi, tutti hanno espresso fiducia verso don Paolo. Questa situazione crea un quadro poco usuale, perché i presunti danneggiati non cercano risarcimenti o giustizia penale. Tra le parti civili figura anche il figlio di due dei creditori, seguito dall’avvocata Anna Baldacci, che rappresenta gli interessi delle famiglie coinvolte.
La difesa del sacerdote è affidata all’avvocato Simone Chiappori. Nei prossimi mesi don Paolo potrà fornire la sua versione dei fatti e rispondere alle contestazioni. L’ex parroco rimane una figura controversa, difeso pubblicamente da chi lo ha supportato anche dopo l’avvio del processo. Il tribunale sarà chiamato a valutare i fatti sanitariamente, senza lasciarsi condizionare dalla complessità delle relazioni personali e dal tessuto sociale che circonda il caso.
Il ruolo della curia e la complessità della vicenda
La curia di Pinerolo è stata informata delle operazioni economiche sospette da tempo. La scelta di non sporgere denuncia da parte del vescovo Olivero ha evitato un’escalation giudiziaria più ampia. Questo silenzio ha provocato dubbi sull’accuratezza con cui le attività finanziarie di don Bianciotto sono state monitorate. Le cifre, e soprattutto l’atteggiamento dei testimoni che difendono il sacerdote senza reclamare denaro, complicano la percezione pubblica e quella giudiziaria della vicenda.
Il processo, ancora in corso, si presenta come un terreno in cui si intrecciano problemi morali, religiosi e giuridici. L’assenza di richieste formali di risarcimento non impedisce però che il nodo dei soldi mai restituiti rimanga un punto centrale nelle valutazioni del tribunale. Qui non si giudica solo un possibile reato, ma il confine tra fiducia e abuso, tra fede e finanza. Lo sviluppo del caso sarà seguito con attenzione per le sue implicazioni sul rapporto tra chiesa e comunità laica.