La sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila ha segnato una svolta importante per il personale sanitario impiegato nell’ospedale di Vasto. Dopo un lungo contenzioso iniziato nel 2016, la Asl n. 2 Lanciano-Vasto-Chieti è stata condannata a pagare le ore di lavoro spese dagli operatori sanitari per vestirsi e svestirsi, oltre al tempo dedicato al passaggio di consegne tra un turno e l’altro. La decisione arriva dopo la Cassazione che ha stabilito che queste attività rappresentano lavoro effettivo e quindi devono essere compensate.
La controversia iniziata nel 2016 e la prima sentenza negativa
Il conflitto tra gli operatori sanitari e la Asl n. 2 ha preso avvio nel 2016, quando un gruppo di lavoratori dell’ospedale di Vasto ha chiesto il riconoscimento del compenso per il tempo speso a indossare e togliere la divisa, oltre al passaggio di consegne. Inizialmente la Corte d’appello aveva respinto tali richieste. Secondo la prima sentenza, infatti, tale compenso doveva spettare soltanto ad alcune categorie specifiche, come gli addetti alla sala operatoria e i turnisti della continuità assistenziale. Per gli altri profili, il tempo dedicato a queste attività non era considerato lavoro e quindi non retribuito.
Questa decisione ha sollevato contestazioni da parte degli operatori, che hanno deciso di ricorrere alla Corte di Cassazione per ribaltare il giudizio. “Il punto chiave della disputa era proprio la qualificazione di questi momenti come prestazione lavorativa, requisito imprescindibile per ottenere la retribuzione.”
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Il ruolo della cassazione nella svolta della vicenda
La Corte di Cassazione ha mutato la direzione del conflitto riconoscendo che le operazioni di vestizione e svestizione della divisa rappresentano una attività lavorativa a tutti gli effetti. Il motivo principale è che l’obbligo di indossare la divisa nasce da esigenze di sicurezza e igiene, vitali per salvaguardare l’incolumità del personale e dei pazienti. Questi aspetti sono fondamentali perché garantiscono il corretto svolgimento del servizio sanitario pubblico.
Inoltre, la Cassazione ha dichiarato che il passaggio di consegne tra operatori rappresenta un momento imprescindibile per assicurare la continuità assistenziale. Riconoscere che questi tempi rientrano nelle mansioni lavorative significa togliere ogni dubbio sulla necessità di retribuirli come ore di lavoro effettivo. La decisione ha costretto la Corte d’appello dell’Aquila a riesaminare il caso alla luce di questo pronunciamento.
La sentenza della corte d’appello dell’aquila del 2025 e l’estensione agli autisti di ambulanza
Il cambiamento si è concretizzato con la sentenza dell’8 maggio 2025 della Corte d’appello dell’Aquila, che ha accolto le istanze dei ricorrenti, allineandosi alle indicazioni della Cassazione. In questa occasione la corte ha ampliato il diritto alla retribuzione anche agli autisti di ambulanza. Essi sono stati riconosciuti come parte integrante del personale sanitario, soggetti all’obbligo di indossare la divisa per poter accedere alle aree assistenziali.
Questa estensione riconosce l’importanza del ruolo svolto dagli autisti nel sistema sanitario, evidenziando che il tempo speso nelle operazioni di cambio divisa e nelle consegne è una parte inscindibile della loro prestazione lavorativa. La sentenza ha quindi fissato un precedente importante, che potrà pesare anche su altre categorie di lavoratori in ambito sanitario.
Le reazioni degli avvocati e l’impatto sul sistema sanitario nazionale
Gli avvocati che hanno seguito la vicenda fin dall’inizio, Luca Damiano e Marco Frediani, hanno espresso soddisfazione per il risultato. Hanno ricordato come siano serviti nove anni per ottenere un verdetto che riconosce un principio fondamentale: “il tempo impiegato per garantire la sicurezza e la continuità del servizio sanitario è lavoro e va retribuito.” Queste parole evidenziano il valore pratico della sentenza, che va oltre la singola causa e riguarda l’intero comparto sanitario.
Le conseguenze della decisione rischiano di essere significative a livello nazionale. La ricevuta giurisprudenza, infatti, potrà spingere altri operatori sanitari a chiedere il riconoscimento di diritti simili. La definizione precisa di cosa si debba considerare attività lavorativa aiuterà a chiarire questioni già dibattute da tempo nel pubblico impiego.
La sentenza della Corte d’appello dell’Aquila, confermata dai massimi organi della giustizia, rappresenta un punto di riferimento per il futuro dei rapporti lavorativi nel sistema sanitario italiano. Già si prevedono nuovi ricorsi in altre realtà sanitarie e richieste di adeguamenti contrattuali per tutelare chi dedica tempo e fatica in mansioni indispensabili e finora non compensate.