Un caso che riguarda la gestione dei permessi legati alla legge 104/1992 ha acceso i riflettori su una condotta aziendale che ha sollevato questioni di rispetto della privacy e diritti dei lavoratori. A Venezia, un dipendente è stato licenziato dopo che la cooperativa dove lavorava ha monitorato i suoi spostamenti con un dispositivo gps senza autorizzazione. La vicenda ha poi trovato un verdetto favorevole per il lavoratore presso il tribunale del lavoro.
La vicenda del lavoratore e i controlli con gps
Il protagonista della storia è un uomo di 46 anni che dal 2009 lavora per coop alleanza 3.0. Nel 2024 aveva ottenuto il permesso grazie alla legge 104 per assistere la madre malata, cosa che gli consentiva di usufruire di giorni di permesso retribuito specifici per esigenze familiari particolari. Tuttavia, l’azienda ha deciso di monitorarlo ricorrendo a un gps installato di nascosto sulla sua auto. Questa misura è stata giustificata dalla sospetta irregolarità nell’uso dei permessi.
L’indagine, affidata a un’agenzia investigativa, ha rivelato che il dipendente, in tre occasioni tra maggio e giugno, non si era recato a casa della madre ma sul proprio domicilio. A seguito di questa scoperta, il 17 giugno l’azienda ha notificato al lavoratore una lettera di contestazione disciplinare, ha disposto la sospensione immediata e infine, il 3 luglio, ha proceduto con il licenziamento in tronco, sostenendo la violazione delle norme legate ai permessi. Il lavoratore ha provato a difendersi in sede sindacale senza però ottenere risultati e ha quindi avviato un ricorso legale con l’assistenza dell’avvocato Dominga Graziani Tota.
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La decisione del tribunale
Il tribunale del lavoro di Venezia, con il giudice Margherita Bortolaso, ha analizzato il caso e ha accolto il ricorso del lavoratore. La sentenza si basa sul principio che i controlli effettuati tramite il gps erano effettuati senza un sospetto concreto e documentato, quindi illegittimi e violativi della privacy del dipendente. La decisione fa riferimento a un pronunciamento della cassazione del 2021 che vieta qualunque tipo di controllo che annulli le garanzie sulla dignità e riservatezza del lavoratore.
Oltre a rigettare le prove raccolte con il gps, il tribunale si è concentrato sulle attività svolte dal lavoratore durante le ore di permesso contestate. È emerso che quei momenti non erano spesi inutilmente, anzi erano dedicate a interventi di tutela per la madre e la sorella. Tra queste operazioni c’era la costruzione di una struttura protettiva per la sedia a rotelle della sorella affetta da sclerosi multipla, oltre a miglioramenti per la sicurezza dell’abitazione, già colpita da furti. Questi dettagli hanno confermato la legittimità del suo diritto a usufruire del permesso.
Le conseguenze per coop alleanza 3.0 e per il lavoratore
Il tribunale ha ordinato il reintegro immediato del dipendente nel posto di lavoro, stabilendo che coop alleanza 3.0 deve corrispondere tutte le retribuzioni dal giorno del licenziamento fino al rientro effettivo in servizio. La cooperativa è stata inoltre condannata a pagare 7.000 euro come contributo per le spese legali del procedimento.
Questa sentenza rappresenta un esempio importante sul rispetto degli strumenti concessi dalla legge 104 e pone limiti chiari rispetto a forme di controllo invasivo senza giustificati motivi. Evidenzia come il diritto alla privacy e alla dignità del lavoratore debba essere tutelato, anche in casi delicati come quelli che riguardano assistenza familiare e permessi speciali.
La vicenda nel 2025
Nel 2025, la vicenda a Venezia resta una testimonianza tangibile delle tensioni tra esigenze aziendali e diritti individuali, richiamando il mondo del lavoro a rispettare norme e procedure senza compromessi.
«È fondamentale che le aziende agiscano nel rispetto della legge e della dignità dei lavoratori, senza ricorrere a pratiche invasive e illegittime,» ha commentato Dominga Graziani Tota.