La corte d’assise d’appello di Catanzaro ha deciso di confermare la sentenza di primo grado per Pietro Rossomanno, il pastore di 49 anni ritenuto responsabile della morte di Simona Cavallaro, la ragazza di 20 anni sbranata da un branco di cani nel 2021. Il fatto è avvenuto nella pineta di Monte Fiorino, a Satriano, in provincia di Catanzaro. Il caso ha suscitato grande attenzione in Calabria e in tutto il paese, sia per la gravità dell’evento, sia per gli aspetti legati alla gestione del bestiame e dei cani da guardia.
La sentenza d’appello e il rigetto della richiesta di modifica del reato
Il 2025 ha portato un pronunciamento chiaro da parte della corte d’appello, che ha confermato la condanna a tre anni di reclusione per omicidio colposo nei confronti di Rossomanno. Era stata avanzata una richiesta dall’accusa per riformare il reato da omicidio colposo a omicidio volontario, con una pena di 15 anni, che però non è stata accolta. I giudici hanno pertanto mantenuto la qualificazione originaria e la pena stabilita nella sentenza di primo grado.
Questa decisione ribadisce la linea processuale applicata al caso, riconoscendo una responsabilità grave ma senza attribuire intento diretto nella dinamica che ha provocato la morte della giovane. La pronuncia arriva a quasi quattro anni dal tragico evento, e testimonia la complessità del processo giudiziario. Rossomanno ha così evitato una pena ben più pesante, ma resta ritenuto colpevole per la vicenda.
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Il ruolo dei cani e la contestazione per l’uso come protezione del gregge
I cani coinvolti facevano parte del sistema di protezione adottato da Rossomanno per il suo gregge. Questi animali erano stati affidati a lui per difendere le pecore da eventuali predatori o minacce. La situazione però è degenerata nella pineta di Monte Fiorino quando la ragazza è stata attaccata dal branco, senza riuscire a sfuggire alla violenza degli animali.
L’imputato, assistito dagli avvocati Salvatore Staiano e Vincenzo Cicino, ha dovuto rispondere anche di altri reati. Tra questi figurano l’introduzione e l’abbandono di animali in aree non autorizzate, insieme all’accusa di invasione e occupazione abusiva di terreni. Questi ulteriori capi d’accusa riguardano l’utilizzo di proprietà private o demaniali senza permesso, circostanza che ha influito sul quadro complessivo di responsabilità del pastore.
La posizione della madre imputata per occupazione abusiva
Non solo Pietro Rossomanno ha dovuto affrontare le accuse in tribunale. Anche sua madre, Maria Procopio, di 71 anni, era imputata nel procedimento per invasione e occupazione abusiva di terreni. La corte d’appello ha deciso di ridurre la sua condanna da otto a cinque mesi di reclusione, dopo aver riconosciuto l’applicazione di attenuanti generiche.
Questa condanna, anche se più leggera, conferma il coinvolgimento della famiglia nelle attività giudicate illecite riguardo all’uso di terreni senza autorizzazioni. L’area in questione è quella intorno alla pineta di Monte Fiorino, dove si è consumata la tragedia. La responsabilità civile e penale dei componenti della famiglia Rossomanno si è quindi estesa anche a problematiche legate alla regolamentazione dei confini e alla manutenzione del territorio.