Confermata in gran parte la condanna per l'organizzazione dello spaccio al Pilastro a Bologna

Confermata in gran parte la condanna per l’organizzazione dello spaccio al Pilastro a Bologna

La Corte di Cassazione conferma le condanne per 13 imputati coinvolti in un giro di spaccio nel quartiere Pilastro di Bologna, disponendo nuovi processi per alcuni membri e ribadendo il legame con la campagna politica del 2020.
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La Corte di Cassazione ha confermato le condanne per un gruppo accusato di spaccio nel quartiere Pilastro di Bologna, con nuovi processi disposti per alcuni imputati, in un caso che ha coinvolto anche aspetti politici e sociali. - Gaeta.it

La Corte di Cassazione ha emesso una sentenza importante nel processo contro un gruppo accusato di gestire un vasto giro di spaccio nel quartiere Pilastro di Bologna. I fatti risalgono al periodo 2019-2020, quando gli imputati, una quindicina di persone in gran parte di origine tunisina, sono stati indagati e processati. Tra loro, membri della stessa famiglia coinvolti in un caso diventato anche un episodio di cronaca politica durante la campagna per le Regionali del 2020 in Emilia-Romagna.

Le origini dell’inchiesta e le prime indagini

L’indagine su questo gruppo criminale è iniziata a seguito dell’omicidio di Nicola Rinaldi, avvenuto nell’agosto 2019 in via Frati, a Bologna. Rinaldi era vicino ad alcune persone che poi sono finite nel mirino della giustizia. L’omicidio ha dato il via a un approfondito lavoro investigativo portato avanti dai pm Roberto Ceroni e Marco Imperato. Le investigazioni hanno evidenziato un’organizzazione dedita alla distribuzione di droghe nel Pilastro, uno dei quartieri popolari della città. I sospetti si sono concentrati soprattutto su una famiglia tunisina, presente nel quartiere e già finita al centro dell’attenzione pubblica in un episodio di polemica che ha coinvolto il leader politico Matteo Salvini.

Il coinvolgimento politico e l’episodio durante la campagna elettorale

Nel 2020, durante la campagna elettorale per le elezioni regionali in Emilia-Romagna, Matteo Salvini si era presentato presso l’abitazione di alcuni membri della famiglia incriminata. Aveva citofonato, chiedendo apertamente se in casa ci fosse uno spacciatore. Questo gesto aveva provocato una serie di reazioni sia a livello locale, sia nazionale, accendendo un dibattito acceso sulla sicurezza e sulle strategie di lotta alla criminalità nelle zone urbane difficili come il Pilastro. Quel gesto, al di là delle implicazioni politiche, ha avuto una forte risonanza nel contesto dell’inchiesta e del processo.

Il percorso giudiziario fino alla cassazione

Il primo grado si è concluso con la sentenza del gup Sandro Pecorella, che ha condannato 21 imputati con pene che arrivavano fino a 14 anni di carcere. Successivamente, in appello alcune condanne erano state ridotte, modificando in parte le sentenze di primo grado. Ieri la Cassazione ha esaminato 14 imputati ancora in attesa di giudizio definitivo. La corte ha confermato per 13 di loro il reato di associazione dedita al narcotraffico, mentre per un albanese, difeso dagli avvocati Simone Romano e Roberto Filocamo, è stato annullato con rinvio. Quest’ultimo era stato condannato in secondo grado a otto anni, dieci mesi e 20 giorni, con il ruolo di promotore dell’associazione contestato dalla difesa.

Nuovi processi e revisioni delle accuse

La Cassazione ha disposto un nuovo appello per questo imputato albanese, ritenendo necessaria una rivisitazione della sua posizione nell’organizzazione criminale. Inoltre, per altri tre imputati sono stati previsti nuovi giudizi in appello. Nel dettaglio, uno di questi processi riguarderà solo uno degli imputi contestati, mentre per gli altri due si tratterà di valutare la continuazione tra alcuni reati addebitati. Questi nuovi passaggi giudiziari dimostrano il complesso quadro delle responsabilità e delle contestazioni in questo caso, ancora non completamente definito.

Le condanne confermate dalla Cassazione segnano una tappa significativa nella lotta contro il traffico di droga nella zona Pilastro di Bologna. La vicenda si intreccia con aspetti sociali, politici e giudiziari che continuano a svilupparsi in città.

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