Una vicenda di violenza domestica ha portato alla condanna di una donna di 40 anni in val d’ossola, dove dopo mesi di comportamenti persecutori nei confronti dell’ex compagno, ha forzato un divieto di avvicinamento e lo ha aggredito. Il caso evidenzia come la violenza possa manifestarsi anche attraverso azioni ripetute e pressanti, non solo con lesioni visibili.
Come è andata l’aggressione e la dinamica dei fatti
Tutto è cominciato con un rapporto interrotto, ma non concluso dal punto di vista delle pressioni e del controllo. La donna ha iniziato a cercare l’ex compagno con insistenza, inviandogli continui messaggi, presentandosi dove lui si trovava e pedinandolo. Questa condotta ha generato un senso di ansia e timore nella vittima, costretta a modificare le proprie abitudini per evitare nuovi incontri.
Nonostante il tribunale di Verbania avesse imposto un divieto di avvicinamento, il provvedimento non è bastato a fermarla. Nel corso dei mesi la donna ha violato più volte il divieto, arrivando infine a presentarsi sotto casa dell’ex compagno a fine aprile. In quella occasione è scoppiata la violenza fisica, con un’aggressione che ha fatto scattare l’intervento dei carabinieri di Crevoladossola.
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L’intervento del tribunale di verbania
A seguito dell’aggressione, la situazione è stata valutata dalle autorità con particolare attenzione. Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Verbania ha accolto la richiesta dei carabinieri, riconoscendo la necessità di un’aggravamento della misura cautelare. È stata così disposta la custodia cautelare in carcere, che ha portato la donna nella casa circondariale femminile di Vercelli dal 2 maggio scorso.
Il procedimento si è svolto con il rito abbreviato, ottenendo una riduzione di un terzo della pena finale stabilita: tre anni e due mesi di reclusione per il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi. Il tribunale ha riconosciuto l’esistenza di una condotta ripetuta e sistematica, che si è protratta nel tempo e non si è limitata a un episodio isolato.
Come la legge tutela le vittime di stalking
La sentenza sottolinea un punto importante riguardo a questo tipo di reati: gli atti persecutori e i maltrattamenti possono continuare anche dopo la fine di una convivenza o di una relazione affettiva. La corte di cassazione ha più volte confermato che un insieme di comportamenti insistenti, aggressivi e ossessivi che minano la serenità psicologica e la dignità della vittima, innesca la configurazione del reato.
Non sono necessari segni visibili o forme di violenza fisica evidenti per far scattare la denuncia e la condanna. Questa vicenda accende i riflettori su una realtà spesso sottovalutata: la violenza può manifestarsi in molte forme, soprattutto quando si tratta di molestie ripetute e intrusioni nella vita personale, che non sempre vengono percepite e affrontate con la necessaria attenzione.
La violenza invisibile e la sua importanza
Questo caso insegna che la violenza domestica non coincide sempre con lividi o danni fisici immediatamente apparenti. La pressione continua, la paura che deriva dall’essere perseguitati o minacciati, logora lentamente, creando danni profondi sul piano psicologico. Per questo anche la giustizia ha sviluppato strumenti per intervenire in modo tempestivo e proporzionato quando una persona subisce molestie reiterate.
Eppure, il problema resta più complicato quando l’autore delle condotte persecutorie è una donna, perché gli stereotipi possono interferire con la percezione della gravità della situazione. Lo stato attuale della legge consente di valutare quei comportamenti in una prospettiva più ampia, senza pregiudizi legati al genere degli attori coinvolti, riconoscendo la sofferenza di chi subisce.