Un intervento di manutenzione su un camion ribaltabile Iveco Strali ha provocato un grave infortunio a un operaio nel marzo del 2018 a Borgaro Torinese. Da allora, la vicenda ha affrontato un percorso giudiziario che si è concluso con la condanna del titolare dell’officina Omea, coinvolta nell’intervento. Il caso ha fatto emergere lacune nella sicurezza sul lavoro e mancanze nelle procedure di prevenzione adottate in quell’occasione.
La dinamica dell’infortunio e il ruolo dell’officina omea
L’incidente si è verificato durante un intervento diagnostico al camion della società Seta spa, responsabile della raccolta rifiuti in zona. Il problema evidenziato era una perdita d’olio nella cabina ribaltabile del veicolo. Per individuare la causa, la cabina è stata sollevata, una fase cruciale e pericolosa del lavoro che richiedeva precise misure di sicurezza.
L’officina Omea, ufficialmente incaricata, non aveva inserito questa procedura né nei documenti di valutazione dei rischi, né nei programmi di formazione per operatori. Questa mancanza di istruzioni scritte ha comportato l’uso di strumenti di sicurezza non certificati e improvvisati, aumentando il rischio per chi operava. L’operaio coinvolto ha riportato lesioni gravi proprio durante questa fase delicata.
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L’inchiesta giudiziaria e le contestazioni legali
Il pubblico ministero Alessandro Gallo ha seguito l’inchiesta partendo dalla segnalazione dell’infortunio. Le accuse rivolte a Domenico Pietro Pastore, titolare dell’officina, si basano sugli articoli 590 e 583 del codice penale, che riguardano le lesioni colpose gravi e la violazione delle norme di sicurezza sul lavoro. Questi articoli prevedono sanzioni in caso di incidenti provocati da negligenza nel rispetto delle regole di prevenzione.
Il giudice Stefania Cugge ha riconosciuto l’esistenza delle attenuanti generiche, ma ha ritenuto necessario attribuire la responsabilità a Pastore. La sentenza prevede una condanna a 30 giorni di arresto con sospensione condizionale della pena, oltre all’obbligo di versare le spese processuali. Questa decisione sottolinea l’importanza di rispettare scrupolosamente le norme di sicurezza durante ogni fase operativa.
Le argomentazioni della difesa e il ruolo del lavoratore
La difesa, guidata dall’avvocata Francesca Peyron, ha sostenuto che l’intervento non fosse una vera e propria riparazione, ma una fase preliminare di analisi e diagnosi per capire da dove provenisse la perdita d’olio. Pastore non avrebbe imposto modalità specifiche per sollevare la cabina, che sarebbe stata ribaltata solo per permettere questa verifica.
In aula, è stato sottolineato come l’operaio ferito, Rosario Di Cava, si sarebbe mosso autonomamente senza il controllo diretto dei colleghi o del titolare. L’avvocato Longo ha portato avanti la tesi che il comportamento del lavoratore fosse indipendente, senza direttive precise, mettendo in discussione il nesso diretto fra responsabilità del datore e incidente.
Valutazioni tecniche e lacune nella documentazione di sicurezza
L’ingegnere Nicosa, consulente esperto di sicurezza, ha confermato che identificare un guasto su un cilindro richiede necessariamente di sollevare la cabina, come è avvenuto in questo caso. Ha spiegato che la verifica completa è impossibile senza questa operazione, chiarendo così la fase tecnica dell’intervento.
Ma ciò che ha inciso maggiormente nella sentenza è stata la mancanza di formalizzazioni scritte e procedure chiare. La documentazione sulla sicurezza doveva includere il metodo corretto per affrontare la fase di verifica insieme alla formazione di chi vi opera. Il verbale dello Spresal TO4 ha evidenziato che sul luogo del lavoro mancavano cartelli, barriere e ogni tipo di segnalazione adeguata, con il rischio evidente di esposizione agli incidenti vicino alla strada pubblica.
Questa carenza ha determinato l’improvvisazione della procedura e contribuito all’incidente, spingendo la magistratura a condannare il titolare dell’officina anche in presenza di attenuanti e della complessità tecnica della situazione.