Il processo sugli incidenti del ponte Morandi a Genova e la tragedia di Avellino ha portato alla luce gravi lacune nei controlli di sicurezza sulle infrastrutture. I due pubblici ministeri, Walter Cotugno e Marco Airoldi, hanno puntato il dito contro pratiche di verifica superficiali e rapporti falsificati che avrebbero favorito risparmi a scapito della sicurezza. Nonostante il disastro del 2018 con 43 vittime, la gestione delle ispezioni sembra essere rimasta immutata, sollevando dubbi sulle responsabilità di chi doveva vigilare.
I pm sottolineano la mancanza di cambiamenti dopo il crollo del ponte morandi
Nel corso della requisitoria, il pm Walter Cotugno ha ricordato che tragedie come il crollo del ponte Morandi del 14 agosto 2018 non hanno portato a un miglioramento reale nelle procedure di verifica. Non solo non si sono adottate nuove strategie per garantire la sicurezza, ma la pratica dei controlli è rimasta superficiale, quasi rituale. L’esperienza di incidenti gravi, come quello di Avellino, non ha fatto scuola. Il pubblico ministero ha citato esempi emblematici, come le ispezioni con binocoli per osservare da lontano dettagli delle strutture, chiaramente insufficienti a garantire una verifica puntuale.
Il ruolo degli enti preposti alla sorveglianza
Questa situazione ha messo in discussione il ruolo degli enti preposti alla sorveglianza, evidenziando un disinteresse reale verso la tutela degli utenti. “Le norme di autotutela e il miglioramento della sicurezza arrivano sempre dopo le tragedie”, ha spiegato Cotugno, evidenziando come vengano colte solo dopo fatti drammatici come il Titanic che però dovrebbero servire da monito.
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Ispezioni superficiali: il caso della galleria bertè in autostrada a26
Un episodio emblematico della scarsa attenzione è l’ispezione della galleria Bertè, lungo l’autostrada A26, che è stata effettuata con modalità che definire superficiali è già poco. Secondo l’accusa, l’ispezione venne fatta mentre il personale viaggiava velocemente in auto, cantando “Non sono una signora”. Questo controllo rapido, condotto circa un mese e mezzo prima della caduta di due tonnellate di cemento, non rilevò criticità.
Conseguenze della mancata rilevazione
Il modo in cui è stata condotta l’ispezione mostra un disimpegno grave verso la sicurezza delle infrastrutture. La mancata rilevazione di danni così importanti dimostra che gli accertamenti erano privi del necessario rigore tecnico. Questi metodi contribuiscono a spiegare perché non si è intervenuti in tempo per evitare collassi o incidenti, rimandando così a tragedie inevitabili.
Falsificazione dei report e risparmi sulla manutenzione a scapito della sicurezza
Per i pm Cotugno e Airoldi, i documenti relativi ai controlli erano spesso falsificati. Questa pratica avrebbe consentito un risparmio sugli interventi di manutenzione, generando vantaggi economici per gli azionisti di Aspi e delle società controllate, come Spea. Il denaro risparmiato non era reinvestito nella sicurezza delle infrastrutture ma migliorava i dividendi da distribuire.
In Spea, società incaricata tra le altre cose della sorveglianza tecnica, nessuno avrebbe protestato per la scarsità di risorse dedicate alla manutenzione. Nessun dipendente o dirigente segnalò difficoltà finanziarie o criticità nei controlli. Questa mancanza di segnalazioni conferma una situazione consolidata di mancata trasparenza e attenzione. È emerso così un sistema in cui il bilancio economico ha avuto la priorità assoluta rispetto alla protezione delle vite umane.
Un sistema di controllo inefficace dopo la tragedia del 2018
Rilevanza assume il fatto che, nel pieno rispetto del 2025, le procedure di ispezione e le politiche di sicurezza non sono mai state davvero ripensate. Dopo la tragedia del Morandi, un crollo che ha provocato decine di vittime, ci si sarebbe aspettato un cambio netto di rotta. I processi in corso dimostrano invece che si sono confermate prassi che favoriscono una gestione superficiale e poco attenta.
Strumenti di controllo inadeguati
È emerso che gli strumenti di controllo erano inadatti, come dimostrano i binocoli usati per controllare da lontano parti di un’opera complessa. Questa pratica denuncia l’assenza di un vero piano di monitoraggio, elemento cruciale per prevenire danni o anomalie. La mancanza di un upgrade nelle tecniche di verifica indica un’abitudine consolidata all’approssimazione.
Le testimonianze e le ricostruzioni del processo confermano che le priorità erano orientate a contenere i costi e minimizzare gli interventi, a discapito dell’incolumità del pubblico. Questa strategia ha determinato, in definitiva, ripercussioni drammatiche e la perdita di vite umane.
Il dibattito giudiziario continua a svelare come la sicurezza sulle infrastrutture non possa essere affidata a procedure formali, ma richieda un impegno reale e trasparente. Il quadro emerso sottolinea la necessità di rivedere profondamente il sistema di controlli che fino ad oggi si è rivelato inadeguato.