Il dibattito sull’uso di solventi chimici nel caffè decaffeinato si riaccende con la presa di posizione del Codacons, che solleva dubbi sulla trasparenza delle etichette. La sostanza al centro della discussione è il diclorometano, un solvente utilizzato per estrarre la caffeina dai chicchi. Tra accuse di potenziali rischi e rassicurazioni degli esperti, la questione coinvolge consumatori, industrie e istituzioni sanitarie.
il ruolo del codacons e la richiesta al ministero della salute
Il Codacons ha rilanciato una segnalazione rivolta al Ministero della Salute, mettendo in guardia i consumatori sull’uso di diclorometano nel caffè decaffeinato. L’associazione sostiene che non tutte le confezioni riportano in modo chiaro il metodo di decaffeinizzazione adottato dalle aziende. Questo genera incertezza e un senso di preoccupazione tra chi sceglie il decaffeinato per motivi di salute o gustativi.
L’associazione ha chiesto ufficialmente di introdurre un obbligo di trasparenza in etichetta. La proposta prevede che venga indicato in maniera evidente il procedimento utilizzato per rimuovere la caffeina, con eventuali avvertenze riguardo alla presenza e alla quantità di residui chimici. In questo modo, i consumatori possono formarsi un’idea più completa e decidere consapevolmente.
Il Codacons chiarisce di non voler creare allarmismi, ma sottolinea che è diritto del pubblico sapere cosa si trova nel prodotto finito che si mette in tazza. Il crescente consumo di caffè decaffeinato, in particolare nelle grandi città italiane, fa emergere nuove esigenze di informazione. Nella richiesta si evidenzia l’importanza di garantire una pratica corretta per tutelare la salute pubblica e rafforzare la fiducia nel mercato.
diclorometano: caratteristiche e limiti normativi
Il diclorometano, noto anche come cloruro di metilene, appartiene alla famiglia dei solventi organici. Viene impiegato in diversi ambiti, dalla farmaceutica all’industria alimentare, proprio per la sua capacità di sciogliere la caffeina evitando di alterare altre componenti del chicco di caffè.
Le norme europee autorizzano il suo uso nella decaffeinizzazione, ma stabiliscono limiti rigorosi alla quantità di residui ammessi nel prodotto finale: non più di 2 milligrammi per chilogrammo di caffè tostato. Negli Stati Uniti il limite è più elevato, con una soglia di 10 mg/kg. Tali norme vengono introdotte per evitare che la sostanza superi i livelli considerati non pericolosi per la salute umana.
il processo di tostatura e la riduzione dei residui
Il processo di tostatura, che avviene ad almeno 200 gradi centigradi, riduce drasticamente i residui di diclorometano. In pratica, dopo questa fase, le tracce tendono ad essere minime o addirittura impercettibili. Tuttavia, studi tossicologici dimostrano che l’esposizione protratta o dosi elevate di diclorometano possono provocare effetti nocivi, tra cui danni al sistema nervoso e al fegato. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro ha catalogato questa sostanza come potenzialmente cancerogena.
La questione riguarda anche la possibile accumulazione nel corpo. Alcuni ricercatori, come il professor Luca Campisi dell’Università di Pisa, avvertono che anche quantità piccole, ma consumate regolarmente attraverso alimenti, possono arrivare a livelli preoccupanti nel tempo. Per questo motivo il dibattito sulle soglie di sicurezza continua ad essere aperto e suscita attenzione da parte degli esperti del settore.
la difesa delle aziende produttrici e la trasparenza richiesta
Le aziende produttrici di caffè decaffeinato hanno risposto alle accuse sottolineando la sicurezza del procedimento che impiegano. Società come Demus evidenziano come il diclorometano sia un solvente efficiente e ammesso dalla normativa vigente. Il processo di decaffeinizzazione con questo solvente, dicono, permette anche di eliminare altre sostanze dannose, come l’ocratossina A, una micotossina rilevante per la salute.
Il solvente viene recuperato quasi completamente durante l’estrazione, un fatto che riduce l’impatto ambientale e la presenza di residui nel prodotto. Dal punto di vista industriale questo sistema è considerato meno impattante rispetto ad altre tecniche che possono alterare il gusto o la qualità del caffè.
trasparenza e comunicazione con i consumatori
Le stesse imprese insistono sull’importanza di una maggiore trasparenza verso il consumatore. Accettano l’idea di incrementare le informazioni in etichetta e di fornire dati chiari sulle metodologie usate, così da rafforzare il rapporto di fiducia. La comunicazione corretta, dicono, serve a mantenere saldo il legame tra produttore e pubblico in un mercato dove il consumatore chiede sempre più chiarezza sulle origini e gli ingredienti del prodotto.
Lo scambio tra associazioni di consumatori e industria rimane vivace. Da un lato si cerca di tutelare la salute pubblica con indicazioni puntuali, dall’altro si punta a garantire un prodotto di qualità senza penalizzare i metodi di lavorazione ammessi dalla normativa. L’equilibrio resta un tema aperto anche in vista di possibili aggiornamenti legislativi.