Un episodio violento si è verificato questa mattina nella Casa circondariale di Udine, dove un detenuto di nazionalità senegalese ha aggredito tre agenti della polizia penitenziaria durante una contestazione disciplinare. Il trasferimento del detenuto da Verona a Udine era avvenuto per motivi di sicurezza dopo precedenti episodi di violenza ai danni del personale. Questo fatto solleva nuovamente il tema della gestione dei detenuti più pericolosi e delle condizioni nelle carceri italiane.
Dettagli dell’aggressione e dinamica degli eventi nella casa circondariale di udine
Secondo la ricostruzione fornita da Massimo Russo, delegato nazionale del sindacato Sappe, il detenuto senegalese ha reagito con forza durante un controllo disciplinare iniziato in mattinata. L’uomo, un ex pugile noto per la sua prestanza fisica, ha prima sferrato un pugno al volto di un vice ispettore di polizia penitenziaria presente nella struttura. Subito dopo lo ha afferrato al collo, dimostrando una reazione aggressiva fuori controllo. Due altri agenti hanno cercato di fermarlo, ma anche loro sono stati colpiti prima che la situazione tornasse alla calma.
Trasferimento e precedenti di violenza
Il trasferimento del detenuto è avvenuto da Verona a Udine non da molti giorni, proprio a causa delle numerose aggressioni compiute nei confronti del personale penitenziario. Era già noto per la sua condotta violenta e per il rischio che potesse mettere a repentaglio l’ordine all’interno del carcere. Il sindacato ha sottolineato che quattro giorni prima lo stesso detenuto aveva già aggredito gli agenti, segnalando una situazione difficilmente gestibile in sicurezza.
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Le criticità delle strutture penitenziarie e la gestione dei detenuti pericolosi
Secondo il sindacato Sappe, la decisione di trasferire detenuti problematici in strutture come quella di Udine risulta poco prudente quando si considera la situazione delle carceri sul piano organizzativo e strutturale. Massimo Russo ha lamentato le carenze di organico, il sovraffollamento e le difficoltà di adattamento dei detenuti ad un ambiente restrittivo che si fa ancora più difficile in presenza di soggetti con comportamenti violenti.
La scelta di spostare persone pericolose in istituti non adeguatamente attrezzati non garantisce la sicurezza né degli operatori né degli stessi detenuti. Questo sistema genera un clima teso che rende complicato mantenere l’ordine anche durante attività di routine come le contestazioni disciplinari. Il sovraffollamento pesa sulle condizioni di vita dentro le celle, elemento che può innescare tensioni a catena.
Problematiche strutturali e organizzative
Le carceri italiane si trovano dunque ad affrontare molteplici criticità: da un lato l’insufficienza di risorse umane, dall’altro l’esigenza di strutture adeguate per gestire detenuti con profili di rischio elevato.
Richieste sindacali su espulsioni, ospedali psichiatrici e dispositivi di sicurezza per la polizia penitenziaria
Donato Capece, segretario generale del sindacato Sappe, ha ricordato come la questione dei detenuti stranieri venga affrontata da decenni con proposte di espulsione. Il dibattito si concentra sulla difficoltà di gestione di questa categoria che spesso finisce per aumentare il carico di lavoro su un personale già sotto pressione.
In aggiunta, Capece ha rilanciato la necessità di riaprire gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, chiusi ormai da anni ma considerati indispensabili per accogliere detenuti con problemi psichiatrici. Questi soggetti sono sempre più numerosi nei penitenziari ordinari, dove non si trovano le condizioni adatte per gestire patologie mentali senza mettere a rischio sicurezza e umanità.
Massimo Russo ha chiesto infine che le forze di polizia penitenziaria vengano equipaggiate con strumenti di difesa moderni quali il taser e la body-cam. Questi dispositivi potrebbero dimostrarsi utili per prevenire episodi di violenza e garantire una documentazione precisa delle azioni del personale, aprendo anche la strada ad una maggiore tutela legale per gli agenti coinvolti in scontri con i detenuti.
Posizioni sui dispositivi di sicurezza
“L’adozione di nuovi strumenti di difesa rappresenta un passo fondamentale per migliorare la sicurezza degli operatori, riducendo rischi e incertezze durante gli interventi”, ha dichiarato Russo.
L’episodio di Udine mette in luce difficoltà note nel sistema penitenziario italiano, specie di fronte a soggetti con comportamenti aggressivi che richiedono misure specifiche e ambienti adeguati capaci di prevenire crisi simili. Il dibattito sulle politiche per i detenuti con problemi psichici e la sicurezza degli agenti continua a essere un tema centrale per la gestione della giustizia penale.