Aggressione a un agente della polizia penitenziaria nel carcere di poggioreale: tensione e inquietudini sulla gestione dei detenuti psichiatrici

Aggressione a un agente della polizia penitenziaria nel carcere di poggioreale: tensione e inquietudini sulla gestione dei detenuti psichiatrici

Un detenuto con disturbi psichiatrici aggredisce un agente della polizia penitenziaria nel reparto Roma del carcere di Poggioreale, evidenziando le criticità delle strutture e le richieste del Consi.pe. per riforme urgenti.
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Il 30 aprile 2025, nel carcere di Poggioreale a Napoli, un detenuto con disturbi psichiatrici ha aggredito un agente penitenziario, evidenziando le criticità nella gestione dei malati mentali nelle carceri italiane e la necessità di riforme urgenti nel sistema. - Gaeta.it

Nel carcere di poggioreale, napoli, la mattina del 30 aprile 2025 si è consumato un episodio di violenza che ha colpito un agente della polizia penitenziaria. Un detenuto romano di 30 anni, noto per problemi psichiatrici e tossicodipendenza, ha aggredito brutalmente un agente al volto nel reparto denominato “roma“. Questo evento ha riportato al centro del dibattito le condizioni difficili di gestione degli internati con disturbi mentali nelle carceri italiane, sotto la lente d’ingrandimento rispetto a strutture spesso inadeguate.

L’aggressione nel reparto roma di poggioreale e le condizioni del poliziotto

L’episodio violento si è verificato all’interno del reparto roma del carcere di poggioreale, nell’arco della mattinata del 30 aprile 2025. Il detenuto trentenne, già conosciuto per atteggiamenti aggressivi e episodi di danneggiamento, avrebbe reagito con violenza appena gli è stata negata la libera circolazione rispetto ai movimenti interni al carcere. Il volto dell’agente colpito ha subito lesioni gravi a tal punto da richiedere un ricovero in ospedale. Dopo le prime cure, la prognosi è stata stimata in sette giorni.

Intervento tempestivo e fragilità del detenuto

Importante sottolineare che solo grazie al tempestivo intervento di un altro detenuto e del personale presente quel giorno, la violenza non è degenerata in un episodio più grave. Si sottolinea inoltre lo stato di fragilità mentale del detenuto, aggravato da una forte tossicodipendenza che influisce notevolmente sul suo comportamento. L’evento ha destato preoccupazione tra gli operatori penitenziari per la sicurezza e la gestione quotidiana di soggetti con questa tipologia di disturbi.

Il vuoto delle strutture adeguate e la pesante eredità degli ospedali psichiatrici giudiziari

La vicenda porta alla luce una criticità che riguarda tutto il sistema penitenziario nazionale: il trattamento dei detenuti affetti da disturbi psichiatrici. Dal 2014 italia ha chiuso gli ospedali psichiatrici giudiziari con la legge 81, spostando i soggetti a rischio nelle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza . Queste strutture sono gestite a livello regionale e hanno l’obiettivo di fornire un ambiente sanitario adatto a chi ha problemi psichiatrici ma è sottoposto a misure di sicurezza restrittive.

Problemi nelle rems e carenze del sistema

Nonostante questa riorganizzazione, la scarsa disponibilità di posti in rems crea un collo di bottiglia. Troppi detenuti che necessitano di trattamenti psichiatrici restano rinchiusi nelle carceri ordinarie, spazi nate per la detenzione e non per il recupero o la cura. Le liste d’attesa si allungano e aumentano così i rischi sia per gli operatori sia per i detenuti stessi, che non ricevono assistenza adeguata e spesso si trovano in condizioni di maggiore isolamento e sofferenza.

Le reazioni del consi.pe. e le richieste per una gestione più sicura e umana

Il consi.pe., coordinamento sindacale che rappresenta il personale penitenziario, ha espresso forte preoccupazione. L’episodio del 30 aprile solleva interrogativi concreti sulla situazione degli agenti che operano in condizioni di stress, con delicati equilibri da gestire dentro strutture non concepite per la cura di malati psichiatrici. Il sindacato denuncia questa gestione come inadeguata e sottolinea come il carcere non debba sostituire i servizi sanitari specializzati.

Le parole di luigi castaldo

Luigi castaldo, vice presidente nazionale del consi.pe., ha ricordato che “mantenere in carcere soggetti con gravi disturbi mentali senza strutture idonee equivale a un fallimento del sistema”. Ha sottolineato che il personale lavora per garantire la sicurezza e contrastare ogni forma di violenza. Castaldo ha commentato anche la recente ipotesi, emersa in alcuni casi, di accusare gli agenti di tortura, affermando che “questa idea contraddice la realtà di chi rischia ogni giorno per mantenere ordine nelle carceri”.

Proposte concrete del consi.pe. per migliorare la gestione dei detenuti con disturbi psichiatrici

Per il consi.pe. servono interventi urgenti e precisi. Primo punto indicato è una riforma del sistema che assegna i detenuti psichiatrici. Serve anche un aggiornamento del modello rems, che oggi non copre la domanda effettiva. La proposta include la creazione di reparti psichiatrici protetti all’interno degli istituti penitenziari, dove il supporto può essere gestito in collaborazione con il servizio sanitario nazionale .

Tutela legale e protocolli per gli agenti

Un altro aspetto riguarda la tutela legale degli agenti penitenziari, che devono avere strumenti chiari per operare in sicurezza quando affrontano detenuti con problemi mentali gravi. In più il consi.pe. chiede l’istituzione di un protocollo unico nazionale per valutare il rischio psichiatrico nei carceri. Questo provocherebbe una gestione più attenta e basata su parametri condivisi, evitando decisioni arbitrarie o ritardi.

L’episodio del 30 aprile a poggioreale, dunque, non rappresenta un caso isolato, ma riflette problemi irrisolti che coinvolgono sicurezza, salute mentale e organizzazione del sistema penitenziario. La discussione resta aperta e attuale, mentre si attendono risposte concrete da parte delle istituzioni responsabili.

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