Una mobilitazione significativa ha avuto luogo a Torino, dove decine di persone si sono unite per denunciare il clima di sfruttamento e di precarietà all’interno di alcune associazioni del terzo settore. Questo evento è stato il culmine di una causa legale avviata da un’ex lavoratrice di un’associazione che si propone di offrire supporto a donne straniere vittime di violenza. L’assemblea ha messo in evidenza problemi strutturali gravi, evidenziando pratiche lavorative passive, abusi di potere e una cultura di silenzio.
Un’aggressione che ha scatenato la protesta
Il presidio è stato organizzato in risposta a un episodio serio che ha coinvolto una delle dirigenti dell’associazione. Un anno fa, la lavoratrice è stata vittima di un’aggressione fisica e verbale, caratterizzata da toni prevaricatori e razzisti. Questo episodio è diventato il catalizzatore per sollevare questioni più profonde riguardanti il clima di lavoro all’interno della struttura. La donna ha tentato di affrontare la situazione richiedendo un incontro collettivo, ma la sua iniziativa è stata accolta con misure punitive: un provvedimento disciplinare e, infine, il licenziamento.
A questa prima estromissione si sono uniti anche altri due colleghi che hanno mostrato solidarietà. Questi eventi hanno messo in luce dinamiche di gestione abusive, portando le lavoratrici a unirsi nella richiesta di tutela e giustizia. La manifestazione non è solo una reazione a un caso isolato, ma evidenzia un fenomeno più ampio che coinvolge numerosi operatori del settore.
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La rivendicazione dei diritti lavorativi
All’interno del volantino distribuito durante il presidio, le attiviste hanno posto l’accento su richieste fondamentali. L’associazione in causa è accusata non solo di mancati pagamenti di straordinari, ma anche di trasformare obblighi di lavoro in “volontariato obbligatorio”. Questo ha suscitato il malcontento di molti che si sentono sfruttati e privati dei propri diritti fondamentali.
Le lavoratrici chiedono anche di vedere riconosciuti i propri contratti di collaborazione, spesso imposti mentre, a tutti gli effetti, svolgevano mansioni da dipendenti. La questione si estende a licenziamenti considerati ritorsivi, con le autorità che devono considerare la gravità di tali pratiche quando si parla di organizzazioni che operano nel sociale.
Il problema del lavoro non retribuito e delle condizioni precarie rappresenta una realtà che colpisce diverse figure all’interno del terzo settore, portando a una riflessione più ampia sulla gestione e sull’organizzazione dei servizi dedicati all’assistenza e al supporto.
Il ruolo del collettivo ‘Non Una di Meno’
Presente alla manifestazione, il collettivo ‘Non Una di Meno’ ha sostenuto l’iniziativa, enfatizzando che la lotta contro questi abusi non è una battaglia isolata. Il gruppo ha fatto sapere che la loro presenza era motivata dalla volontà di combattere per la difesa dei diritti di tutte le donne, sottolineando l’importanza di unire le forze contro ogni forma di sfruttamento e abuso.
Il collettivo si è sempre ispirato a valori di inclusione e solidarietà, elementi che si riflettono anche nella protesta di Torino. “Non permetteremo che il silenzio prevalga su chi desidera denunciare abusi e maltrattamenti,” hanno affermato le attiviste. Il messaggio è chiaro: chi cerca di isolare le lavoratrici e di tenerle in una condizione di precarietà troverà sempre una resistenza unita e determinata.
L’evoluzione del caso legale e la visibilità mediatica della protesta potrebbero avere ripercussioni significative non solo sull’associazione specifica ma sull’intero settore, spingendo verso un cambiamento delle normative lavorative e dei meccanismi di controllo all’interno delle organizzazioni Non Profit. La manifestazione, quindi, si presenta non solo come un momento di protesta, ma come uno spunto per un ripensamento delle dinamiche di potere e dei diritti all’interno del terzo settore.