A Ravenna, il 1 e 2 giugno 2025, un evento musicale ha radunato 3116 coristi provenienti da ogni angolo d’Italia, per un omaggio collettivo alla musica italiana e alla celebrazione del 2 giugno. Sul palco del Pala Mauro De André, con la guida del maestro Riccardo Muti, si è svolta una due giorni di canto corale che ha coinvolto sia professionisti che amatori, in un’esperienza unica di comunione e musica. Questa iniziativa, parte del Ravenna Festival, si è trasformata in una grande manifestazione di passione e solidarietà attraverso la coralità.
Il coro del va’ pensiero: emozioni e disciplina nel segno di verdi
Il coro del “Va’ pensiero” da Nabucco, l’opera di Giuseppe Verdi, ha aperto l’evento. Fin dalle prime note, fra le 3116 voci riunite sotto la direzione di Muti, è arrivata una potente carica emotiva. Il maestro, consapevole della partitura, ha richiesto di cantare “tutti sotto voce”, ma l’entusiasmo della marea vocale ha superato il limite. Riccardo Muti ha allora gesticolato per abbassare il volume, ricordando la necessità del controllo ma anche della condivisione del sentimento musicale. Al termine della prima esecuzione ha elogiato il coro chiamandolo “cantante con spirito musicale”, riconoscendo nello spirito di gruppo un miracolo: le persone venivano da regioni politicamente diverse, ma unite da un sentimento che ha definito “italico”.
Riflessioni di muti sull’unità attraverso la musica
Il maestro ha ricordato che questo tipo di esperienza insegna a riflettere sul valore dell’unità, motivata non da ideologie ma dall’amore per la musica e il proprio paese. Questa coralità, ha aggiunto, rappresenta un terreno fertile che però “va innaffiato”, un invito a coltivare la passione musicale e la coesione sociale con costanza. La due giorni ha dato spazio più a una chiamata collettiva che a un semplice concerto, sottolineando come il canto sia anche un rituale capace di consolidare legami in tempi segnati da divisioni.
Leggi anche:
Riccardo muti e il valore simbolico del canto corale
Riccardo Muti è stato protagonista solitario sul palco ma con l’energia di un direttore che sa coinvolgere migliaia di persone. Appena arrivato, ha mostrato a chi lo seguiva quanto fossero numerosi i partecipanti. La frase “dall’Alpi alle Piramidi” ha sintetizzato bene la provenienza di tutti i coristi, provenienti da ogni regione italiana. Muti ha ironizzato sul “Va’ pensiero” come possibile inno nazionale, poiché cantato da uno stato di schiavitù e dura diversi minuti, cosa poco pratica per certe occasioni ufficiali. Ha infatti promosso come inno il “Canto degli italiani”, anche se ha invitato a omettere l’ultimo “si”, tratto dal manoscritto di Mameli, definendolo una parte volgare.
Momenti di leggerezza e simbolismo
Non è mancato un tono scherzoso durante l’evento: Muti ha saltato e mimato gesti per animare una folla che indossava una maglietta con la scritta “Cantare amantis est”, una citazione di Sant’Agostino che ha legato il canto all’amore, tema chiave della manifestazione musicale. Questo appuntamento, una diramazione di “Le vie dell’Amicizia”, ha voluto suggerire un percorso nella coralità, dopo anni in cui il Ravenna Festival ha portato la musica come messaggio di pace fuori dall’Italia, come a Sarajevo nel ’97.
La coralità italiana: numeri, età e preparazione dei partecipanti
L’adesione al progetto è stata sorprendente: 104 cori e 1202 coristi singoli, per un totale di 3116 persone. Da Cagliari a Matera, da Trento a Palermo, da Campobasso a Napoli, le età variavano dai 4 agli 87 anni. L’organizzazione li ha raggruppati in base ai toni vocali: 208 voci bianche, 1059 soprani, 1062 contralti, 389 tenori e 398 bassi. La distribuzione ha consentito una resa bilanciata del suono corale, con i più piccoli in prima fila a dirigere l’atmosfera.
Durante l’attesa del maestro, il gruppo si è riscaldato cantando brani celebri come “Romagna mia”, “Bella ciao” e “Nel blu dipinto di blu”, trasformando la sala in un coro spontaneo e gioioso. La partecipazione non è stata solo numerica ma qualitativa, con una preparazione accurata richiesta ai coristi, nonostante molti fossero dilettanti. Il clima in sala rifletteva una forte voglia di condividere la musica, al di là della semplice performance, proprio in una dimensione di festa collettiva.
Le lezioni di muti: studio, disciplina e interpretazione di verdi
Il maestro ha condotto una masterclass approfondita sulle pagine più significative di Giuseppe Verdi, analizzando “Patria oppressa!” da Macbeth, “Jerusalem!” da I lombardi alla prima crociata, e naturalmente “Va’ pensiero” da Nabucco. Ha raccontato la sua lunga frequentazione con Verdi, sottolineando la meticolosità e la perfezione dello stile verdiano. Non ha risparmiato critiche all’uso che si fa spesso della musica italiana, ancora vista come intrattenimento leggero rispetto agli ascolti dedicati a Mozart e Wagner.
Interpretazione e discipline del coro secondo muti
Muti ha scherzato su come oggi i direttori d’orchestra spesso appaiano troppo emotivi o teatrali. Ha spiegato che il coro è un insieme di singoli individui e il compito del maestro è orchestrare senza eliminare le peculiarità di ognuno. Ha invitato i coristi a prestare attenzione a ogni parola, a tutti gli accenti perché sono elementi che definiscono il senso profondo della musica senza indulgere nel trionfalismo. Ha posto l’accento sulle pause, descrivendo il silenzio come un respiro carico d’angoscia e suggerendo di portare il senso teatrale anche nelle sfumature più sottili del canto.
Il maestro ha poi citato Toscanini, Salvatore Di Giacomo e perfino Eduardo De Filippo per ribadire che ogni sforzo per trovare significato nella vita è teatro, un richiamo che ha dato ulteriore spessore all’esperienza corale vissuta quel giorno.
Un’esperienza corale inedita che affianca musica e impegno sociale
Questi coristi, amatoriali e provenienti da tutta Italia, sono arrivati singolarmente o con i cori, rispondendo a una chiamata che ha superato ogni aspettativa. Muti ha definito questa esperienza un esempio da esportare in tutto il mondo, sottolineando il valore sociale della musica e il ruolo fondamentale dell’insegnamento musicale nelle scuole. Il maestro ha voluto che la musica si mostrasse come uno strumento di comunicazione, armonia e cura del legame fra le persone.
L’evento al Pala Mauro De André è diventato così il racconto di una passione collettiva dove la musica si incrocia con un senso di appartenenza condiviso. Lo spettatore ha percepito la profondità della performance non solo come un momento artistico, ma come una festa corale che guarda ai bisogni di connessione di una società spesso divisa. Riccardo Muti, in queste giornate ravennati, ha guidato senza forzature una folla che ha cantato e ascoltato con attenzione, lasciando un segno tangibile nel mondo della musica italiana.