Un’inchiesta condotta dalla direzione distrettuale antimafia di napoli ha portato alla scoperta di un sistema illecito di occupazione e vendita di alloggi pubblici popolari a ponticelli. L’indagine ha rivelato una gestione criminale che vede coinvolte sei famiglie camorristiche, responsabili di aver trasformato immobili comunali destinati a uso commerciale in abitazioni abusive, lucra ndo sul bisogno di casa di molti cittadini.
Le indagini e la scoperta del sistema di occupazione illegale
Il lavoro investigativo coordinato dal procuratore aggiunto sergio amato e dal procuratore capo nicola gratteri ha permesso di identificare 29 indagati fra gli occupanti abusivi e i promotori del racket. Le indagini hanno svelato una mappa ben definita del controllo degli immobili da parte dei clan camorristici, i quali si spartivano il territorio e i guadagni derivanti dalle occupazioni abusive.
Decine di famiglie, approfittando della vulnerabilità sociale legata alla mancanza di abitazioni, avevano preso possesso di spazi pubblici. Quegli immobili, originariamente previsti per attività commerciali, erano stati modificati per diventare abitazioni senza alcun titolo. Un alloggio di proprietà comunale veniva venduto ad una cifra di 30.000 euro, a cui si aggiungeva un “pizzo” di 5.000 euro da consegnare al clan di riferimento. Questo meccanismo permetteva ai gruppi criminali di trarre profitto direttamente da proprietà pubbliche, aggravando la condizione di illegalità del territorio.
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I clan coinvolti e la loro influenza
L’indagine ha ricostruito le aree di influenza e l’azione di sei diversi clan attivi nel quartiere ponticelli e zone limitrofe. Ognuno di loro gestiva una parte del racket e curava il controllo degli immobili occupati, consolidando così potere e ricchezza.
Il clan Casella controllava via Luigi Franciosa e le zone vicine, con forti legami ai Minichini-De Luca Bossa. Il clan De Martino operava al rione Fiat e a ponticelli, con quartier generale in via Panagalis. Il clan De Luca Bossa gestiva l’area corrispondente al lotto 10 e il lotto O. Il clan D’Amico, con base nel parco Conocal, estendeva la propria presenza nel quartiere con metodi analoghi. Il clan De Micco, detto “Bodo”, aveva il controllo su via Crisconio e viale Margherita.
Questi gruppi avevano costruito un sistema di occupazione abusiva stabile, capace di gestire una rete formata da decine di immobili occupati e trasformati in abitazioni senza autorizzazioni. Attraverso minacce e richieste di denaro, mantenevano il dominio sui territori, soffocando ogni forma di resistenza e legittimità.
L’operazione di sequestro e lo sgombero dell’immobile in via Panagalis
La svolta più significativa dell’indagine è arrivata ieri quando carabinieri e polizia locale hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo, disposto dal giudice per le indagini preliminari marco giordano. È stato sgomberato un edificio di tre piani di proprietà comunale, situato in via Panagalis, una vera e propria roccaforte del clan De Martino.
L’immobile, ufficialmente destinato ad usi commerciali, era stato illegalmente trasformato in abitazioni residenziali. Al suo interno si trovava francesco de martino, uno dei capi del clan, insieme alla moglie carmela ricci. Lo sgombero ha privato il gruppo di un simbolo di potere e di una base operativa nel cuore del quartiere.
Questa azione esecutiva conferma la portata del fenomeno e l’importanza del contrasto alle pratiche illegali legate alla gestione del patrimonio pubblico.
I protagonisti e il ruolo dei 29 indagati nell’organizzazione criminale
Tra i 29 indagati ci sono uomini e donne di napoli e dei comuni limitrofi, coinvolti in ruoli diversi nel meccanismo del racket degli alloggi popolari. Il loro elenco comprende nomi e cognomi, con dettagli anagrafici forniti dalle autorità, che ne attestano la reale presenza sul territorio e la partecipazione al sistema.
Francesca Acierno, Italia Ascione, Antonella Bonito e Giuseppina Cardillo sono alcune delle persone accusate insieme a francesco de martino e carmela ricci, presenti anche loro tra gli indagati. La presenza di diversi nuclei familiari nell’elenco dimostra come il sistema criminale abbia coinvolto anche molte persone che fruivano degli immobili occupati, spesso senza garanzie e dietro pressioni o direttive dei clan.
Il fatto che alcune figure centrali del racket abitativo siano state identificate e denunciate mostra la capacità degli investigatori di penetrare le reti criminali che sfruttano il disagio abitativo per mantenere il controllo sociale e territoriale.
Il peso del racket sugli abitanti e sulle proprietà pubbliche
L’operazione scopre un giro criminale che ha trasformato il bisogno di casa in una fonte di guadagno illecito per i clan. Il racket imponeva canoni illegali, costringendo chi occupava queste abitazioni abusive a pagare somme irregolari che alimentavano direttamente la forza delle organizzazioni criminali.
Questo sistema di gestione abusiva dei locali pubblici sottraeva immobili destinati a diverse funzioni, comprimendo ulteriormente l’offerta abitativa legale e creando un clima di illegalità diffusa. La persistenza di queste pratiche contribuisce a deteriorare il tessuto sociale di ponticelli, aggravando le condizioni di disagio nel quartiere.
Lo sgombero e i sequestri segnano una battuta d’arresto per questo meccanismo, ma restano molte questioni aperte, in particolare sulla rigenerazione urbana e il reinserimento delle famiglie coinvolte. La lotta contro queste condotte si conferma centrale per ripristinare il diritto alla casa come diritto concreto e non strumento di profitto illecito.