Negli ultimi giorni a Bologna è stato inaugurato un laboratorio ginecologico popolare, ideato per offrire assistenza e supporto alle fasce più fragili della popolazione. Il progetto del Comune ha suscitato vivaci reazioni soprattutto per l’uso di alcune espressioni adottate nella comunicazione ufficiale. Il dibattito si è acceso in particolare dopo la pubblicazione sui social dell’amministrazione comunale, con accuse da parte di esponenti politici del centrodestra che hanno contestato il linguaggio inclusivo che definisce destinatari “donne e persone con capacità gestante“.
Il contenuto e gli obiettivi del laboratorio ginecologico popolare di Bologna
Il laboratorio è stato presentato sui canali social del Comune come uno spazio sicuro, accessibile e accogliente dedicato alla salute sessuale e riproduttiva, con l’obiettivo di colmare lacune nell’offerta sanitaria territoriale. La struttura vuole rivolgersi soprattutto a gruppi vulnerabili come donne, giovani Neet , migranti e, più in generale, “persone con capacità gestante“. Tale scelta linguistica nasce dalla volontà di includere tutti coloro che possono affrontare questioni ginecologiche e ostetriche, indipendentemente dall’identità di genere, estendendo l’attenzione anche a chi, pur non identificandosi come donna, ha capacità di gravidanza.
Il Comune ha sottolineato che il laboratorio punta a fornire ascolto, orientamento e supporto concreto a chi spesso trova ostacoli nell’accesso ai servizi sanitari. Lo spazio vuole essere un punto di riferimento di prossimità, dove accogliere bisogni specifici e facilitare l’accesso a cure e informazioni. In effetti, in molte realtà, chi non si riconosce nel genere femminile ma riveste un ruolo potenzialmente “gestante” ha maggiori difficoltà a ricevere assistenza medica adeguata. La struttura di Bologna sembra voler colmare questo vuoto, rispondendo a reali esigenze sanitarie e sociali.
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Le reazioni politiche e le critiche alla comunicazione del Comune
La scelta delle parole usate per descrivere il target del laboratorio ha però scatenato polemiche immediate. Galeazzo Bignami, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, ha bocciato duramente la formula “persone con capacità gestante“, definendola una forzatura culturale di matrice “woke“. Bignami è intervenuto con una nota, affermando che il linguaggio non solo appare ridicolo ma anche offensivo per le donne, le quali secondo lui “si stanno lamentando” della comunicazione del Comune. Ha chiesto alle femministe di difendere i diritti delle donne in relazione a questa questione, alludendo a una presunta incoerenza.
Anche Francesco Perboni, riferimento regionale di Pro Vita & Famiglia in Emilia-Romagna, ha criticato l’iniziativa, sostenendo che il Comune di Bologna ignora nozioni scientifiche di base confondendo il concetto biologico di donna con l’espressione “persone con capacità gestante“. Perboni ha puntualizzato: “Chi sono queste persone, se non semplicemente donne?“. Queste reazioni politiche si sommano a un dibattito più ampio sul linguaggio inclusivo e sulla rappresentazione delle identità di genere, tornato alla ribalta proprio con l’avvio di questo progetto.
La comunicazione pubblica del Comune e le implicazioni sociali
Il Comune di Bologna ha adottato una comunicazione che prova a estendere l’attenzione sanitaria a una platea più ampia, dove non solo le donne ma anche persone non necessariamente identificate come tali possano usufruire dei servizi ginecologici. Il concetto di “persone con capacità gestante” nasce da un’esigenza di inclusione, in linea con indicazioni di enti sanitari e attivisti che riconoscono la complessità delle identità di genere e la necessità di adattare i servizi pubblici.
Questa metodologia, però, si scontra con una parte dell’opinione pubblica e con rappresentanti politici che ritengono che questa semplificazione linguistica possa generare confusione e marginalizzare la specificità femminile, con potenziali rischi di stravolgimento culturale. Il confronto, quindi, sfocia in una discussione più ampia su diritti, riconoscimento e politiche sanitarie pubbliche. La scelta di parole diverse dal classico “donne” punta a fornire risposte più mirate a bisogni reali ma al tempo stesso mette in evidenza le divisioni sociali sul tema dell’identità e dell’inclusione.
Il ruolo dei servizi di salute sessuale e riproduttiva nelle città italiane oggi
I servizi di salute sessuale e riproduttiva rappresentano un nodo importante per garantire tutela e supporto alle categorie più vulnerabili, soprattutto in grandi aree urbane come Bologna. Molti territori mostrano però ritardi e lacune nell’accesso a cure specialistiche, con notevoli differenze legate a genere, condizione sociale e nazionalità. L’esperienza del laboratorio popolare si inserisce in questo contesto, cercando di rispondere con strumenti concreti alle necessità di persone che spesso restano ai margini dei servizi tradizionali.
L’idea di un luogo accessibile a chi è stato escluso o invisibilizzato all’interno del sistema sanitario si fonda su un modello che considera multidimensionale la salute riproduttiva, specie per chi non rientra nelle definizioni tradizionali. Nel panorama italiano del 2025, queste iniziative rappresentano esperienze pionieristiche che evidenziano quanto la domanda di cure si stia allargando, integrando fattori culturali e sociali. Nel contempo si alimenta un confronto politico e sociale, come si è visto a Bologna, che continua a sollevare dubbi e contestazioni su nomenclature e contenuti.
Il laboratorio ginecologico di Bologna diventa così un punto di osservazione su temi scottanti legati all’evoluzione delle politiche pubbliche, alla ridefinizione dei servizi e all’esercizio di diritti spesso negati. Lo spazio inaugurato è già al centro del dibattito cittadino e politico, segno di una questione che, nel prossimo futuro, probabilmente richiederà ulteriori approfondimenti e aggiustamenti.