Università americane contro trump: accuse di antisemitismo, minacce ai finanziamenti e la corsa al lobbying nel 2025

Università americane contro trump: accuse di antisemitismo, minacce ai finanziamenti e la corsa al lobbying nel 2025

L’amministrazione Trump minaccia tagli ai fondi per la ricerca nelle università degli Stati Uniti, scatenando proteste, cause legali e intensificazione del lobbying da parte di atenei come Harvard e Columbia.
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L’amministrazione Trump minaccia pesanti tagli ai fondi pubblici per la ricerca universitaria, accusando le università di non contrastare adeguatamente l’antisemitismo, scatenando forti proteste, cause legali e intensificate attività di lobbying da parte degli atenei americani. - Gaeta.it

L’amministrazione Trump continua a scontrarsi con le principali università degli Stati Uniti. Al centro della tensione c’è la minaccia di tagli molto pesanti ai fondi pubblici destinati alla ricerca, che ammontano a miliardi di dollari. Il governo chiede più controllo su programmi accademici, criteri di ammissione e gestione dei campus, motivando questa pressione con l’accusa di una scarsa reazione degli atenei contro episodi di antisemitismo avvenuti durante le proteste legate alla guerra nella Striscia di Gaza. Le università replicano con proteste, cause legali e nuove strategie di difesa, tra cui una forte intensificazione delle attività di lobbying.

Scontri tra trump e le università americane sulle accuse di antisemitismo

Gli scontri tra il presidente Trump e il mondo accademico americano si sono aggravati a partire dai primi mesi del 2025. La ragione ufficiale del governo per tagliare i finanziamenti arriva dalla mancata repressione di atti antisemiti verificatisi nei campus durante le proteste contro la guerra in Medio Oriente. Queste accuse hanno scatenato una reazione netta da parte delle università coinvolte, a cominciare da Harvard. Alan Garber, presidente dell’ateneo di Cambridge, in una lettera resa pubblica ha dichiarato che l’università non avrebbe mai rinunciato alla propria autonomia né permesso a nessun governo di imporre controlli sui contenuti accademici delle università private.

Le università si schierano

Questa posizione è stata rapidamente condivisa da un’ampia fetta del mondo universitario. Entro aprile, quasi 200 rettori di istituzioni tra le più importanti del Paese hanno firmato un appello per denunciare quella che considerano una violazione della libertà accademica da parte dell’amministrazione. Non tutte le università, però, hanno adottato la stessa linea. La Columbia University, ad esempio, non ha aderito alla protesta e ha accettato alcune richieste del governo, distinguendosi così dalle altre.

Il dipartimento all’Istruzione ha creato una task force specifica per esaminare il fenomeno, individuando una sessantina di università da sottoporre a verifica. Questo ha alimentato il clima di sfiducia e di confronto duro, accentuato anche dalla minaccia concreta di tagli ai fondi destinati alla ricerca e alla didattica, elementi fondamentali per molte istituzioni.

Conseguenze economiche per gli atenei

La minaccia di congelare o ridurre drasticamente i finanziamenti ha avuto conseguenze gravi su molti atenei di rilievo. Harvard, che ha già intentato una causa contro l’amministrazione federale, ha segnalato un decremento pari a 2,3 miliardi di dollari solo nel 2025. La situazione non è isolata: Brown ha subito un taglio di 510 milioni, Cornell oltre al miliardo, Northwestern quasi 800 milioni, mentre l’Università della Pennsylvania e Princeton hanno dovuto affrontare diminuzioni di 175 e 210 milioni rispettivamente.

Impatti sulla ricerca e la didattica

Sono cifre che mettono in crisi la capacità di ricerca e la gestione ordinaria della didattica, specie nel caso di istituti con ampie comunità studentesche e programmi di ricerca avanzata. Le proteste degli atenei non si sono limitate alla denuncia pubblica: sono partite cause legali per difendere la propria autonomia e hanno rilanciato una mobilitazione pubblica a favore della libertà accademica.

Questi tagli mettono sotto pressione anche la programmazione futura degli atenei. Molti corsi rischiano di subire ritardi o cancellazioni, mentre i progetti di ricerca potrebbero subire un rallentamento per mancanza di risorse. Le università fondano il loro prestigio anche su investimenti pubblici, fondamentali per studenti e docenti.

Attività di lobbying e nuove strategie universitarie

Di fronte alla stretta dell’amministrazione Trump, gli atenei hanno moltiplicato gli sforzi per influenzare la politica pubblica attraverso le attività di lobbying. Il New York Times ha diffuso dati che mostrano come, nei primi tre mesi del 2025, dieci università abbiano speso quasi 2,8 milioni di dollari per farsi rappresentare da consulenti politici. Si tratta di una cifra quasi mai vista prima in questo ambito.

Le università investono nel dialogo politico

Alcune università hanno addirittura triplicato i budget per il lobbying. Columbia, dopo aver accettato diverse condizioni del governo, punta molto su questa azione. Anche Harvard ha quasi raddoppiato i fondi destinati a questa attività. I consulenti si incontrano regolarmente con membri del Congresso e staff della Casa Bianca, per discutere di sovvenzioni esposte a rischio e per mostrare le iniziative messe in campo contro l’antisemitismo.

Un aspetto interessante è la scelta di società di lobbying con una chiara inclinazione conservatrice. Harvard, ad esempio, ha investito 90.000 dollari con Ballard Partners, azienda di Capitol Hill legata a esponenti influenti dell’amministrazione, tra cui Pam Bondi e Susie Wiles. Questo segnale indica la volontà delle università di capire e dialogare con le figure chiave della politica americana, per tentare di salvaguardare risorse fondamentali in una situazione complessa.

Il presidente dell’American Association of Colleges and Universities ha definito questo impegno “un investimento opportuno” per far comprendere l’importanza dei fondi alla ricerca agli occhi dei legislatori. Il confronto tra potere politico e mondo accademico assume così nuove dimensioni, segnando un momento delicato per il futuro della didattica e della scienza negli Usa.

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