Nel cuore del quartiere Lingotto a Torino, un normale piano terra celava attività inquietanti. Dietro una saracinesca chiusa, un locale con il nome ispirato a Tolkien ospitava da due anni incontri segreti di Avanguardia Torino, gruppo di estrema destra. Una base operativa dove si praticavano riti, si intonavano inni e si diffondevano messaggi di odio razziale e religioso. Il tutto scoperto e bloccato nel luglio 2024 dopo indagini delle forze dell’ordine.
Il luogo e il contesto di via Berone nel quartiere lingotto
Via Berone si trova in un quartiere che porta ancora i segni di un passato operaio e antifascista. Il Lingotto un tempo era sinonimo di stabilimenti Fiat e comunità popolare. Qui, dove per decenni si sono sentite le bandiere rosse, si è infiltrato un gruppo dalle idee opposte. All’esterno del locale, denominato “Edoras” come la capitale immaginaria di Tolkien, nessuno avrebbe sospettato la realtà interna. Quelle mura insonorizzate nascondevano raduni con simboli fascisti e neonazisti provenienti da varie parti d’Europa.
Il quartiere di Lingotto, con la sua memoria antifascista, rappresenta un luogo dal forte valore storico. Proprio questa caratteristica ha reso più grave la scoperta di un ambiente dedito alla propaganda dell’estrema destra e razzista. Il locale si trovava in un contesto civile, con abitanti attenti, che però non riuscivano a intravedere cosa succedeva al suo interno. Frequentato da giovani con livelli di violenza e ideologie estremiste, nascondeva attività non dichiarate che hanno allarmato le autorità locali.
Leggi anche:
Riti e cerimonie: la violenza rituale come segno di appartenenza
All’interno, le serate si animavano con rituali simili a quelli di una setta. Quando un nuovo membro si univa, veniva sottoposto a un rito di iniziazione crudele. Disposti in due file parallele, otto persone circondavano il neofita a torso nudo. Dopo minuti di silenzio teso, iniziavano colpi e spintoni. Quel battesimo di violenza era accompagnato da urla di devozione a Hitler, scandite da tutti i presenti in coro.
Oltre al battesimo, ogni incontro partiva con un saluto preciso: “Buonasera, camerati!”. Seguivano canti e inni inneggianti a figure neonaziste come Hristo Lukov o a eventi legati alla cultura dell’estrema destra italiana. Le canzoni denunciavano l’odio verso immigrati, islamici e multiculturalismo. Frasi come “Europa cristiana, mai musulmana!” venivano gridate con convinzione davanti al pubblico presente.
Uno dei momenti più intensi avvenne il 27 aprile 2024, dopo un concerto rap dedicato alla “nazione”. Un militante invitò il pubblico a urlare più volte “Heil!”, provocando un coro unanime che riempì la stanza. Questo episodio è solo uno dei tanti che hanno contribuito a dare ai magistrati il quadro di un’organizzazione ben radicata e integrata nel gruppo.
La chiamata al presente: simbolo di una rete neonazista attiva e organizzata
Il rito più significativo era la cosiddetta “chiamata al presente”. Una persona urlava il nome di un gerarca nazista, di un militante caduto o di un criminale storico. A quel punto, tutti si alzavano in piedi, alzando il braccio teso e gridando “Presente!”. Questo gesto non è solo un semplice saluto militare. La Cassazione lo definisce un chiaro segnale di preparazione alla riorganizzazione del partito fascista, rimasto illegale in Italia.
Quest’atto rappresenta la conferma di un’organizzazione chiusa con gerarchie e segreti, che si rifà a ideologie storiche e cerca continuità attuale. In queste serate, il gruppo celebrava anche formazioni naziste contemporanee, compresi reparti delle SS ucraine, citati nei canti con riferimenti diretti alla guerra in corso.
Tutte queste manifestazioni sono state raccolte dagli investigatori e documentate attraverso attività di intercettazione e video. La presenza di simboli, gesti e chiamate vocali ha alimentato la richiesta di sequestro e la chiusura del locale, con l’intento di stroncare ogni possibilità di diffusione.
Episodi di violenza e discriminazione avvenuti fuori dal locale: la spedizione ai murazzi
Gli atti di odio non si fermavano all’interno delle mura insonorizzate. La sera del 28 aprile 2024, dopo uno degli incontri, alcuni membri del gruppo si sono avventurati in una spedizione ai Murazzi, zona lungo il fiume Po. Indossavano guanti con nocche d’acciaio e hanno cercato di aggredire quattro giovani di origine marocchina. Non riuscendo a colpirli, li hanno beffeggiati con versi scimmieschi e urla gutturali.
Questo episodio è stato riconosciuto dalla giudice come aggravato dall’odio razziale. Dimostra come il gruppo non restasse chiuso in un ambito di mera propaganda, ma provocasse anche violenze dirette e atti di discriminazione contro minoranze etniche e religiose. Gli inquirenti hanno quindi valutato queste azioni come parte di un disegno più ampio di intimidazione e terrorismo ideologico.
I responsabili formali e i legami inquietanti tra politica e territorio
Formalmente, il locale era gestito da Emanuele Picone, titolare della società che aveva preso in affitto lo stabile. Tra gli indagati figura anche Matteo Vignale, legato per parentela a un assessore regionale al Patrimonio, Gian Luca Vignale, che però non risulta coinvolto nelle indagini. Quest’ultimo elemento ha destato preoccupazione per il possibile intreccio tra ambienti istituzionali e l’estremismo clandestino.
L’immobile apparteneva a Umberto Ruggiero, 71 anni, ex funzionario della Città Metropolitana e storico militante comunista. In passato aveva affittato lo spazio ad altre attività. Solo di recente si era reso conto dell’anomalia rappresentata dal nuovo inquilino, specialmente quando fuori sono comparse bandiere del Terzo Reich. Ruggiero ha cercato discreta assistenza legale, ma il contratto d’affitto era valido fino al 2026.
La chiusura forzata del luogo è stata per lui un sollievo. Il proprietario non ha più dovuto assistere a scene e simboli legati a un’ideologia violenta che screditava anche lo spirito antifascista della zona. La vicenda sottolinea l’importanza di controlli più rigorosi sui locali in affitto, per prevenire derive pericolose.
Indagini e prove raccolte dopo il blitz: una rete da smantellare
L’operazione del 6 luglio 2024 ha fatto emergere decine di intercettazioni e un gran numero di prove. La gip Paola Odilia Meroni ha evidenziato come il gruppo non si limitasse a studiare la storia fascista, ma la manipolasse con intenti di propaganda. La violenza, sottolineava nel decreto, è stata “permessa e lodata” all’interno del gruppo.
Il sequestro del locale ha bloccato una fitta rete di contatti e attività. Gli investigatori continuano a esaminare i materiali audio e video raccolti, per definire le responsabilità penali e smantellare completamente l’associazione. Si tratta di un’operazione complessa, perché dietro quella saracinesca chiusa si nascondevano dinamiche radicate e rituali consolidati.
Questa vicenda dimostra come ideologie estreme e disciolte da decenni possano sopravvivere e radicarsi, mutando forma ma conservando la stessa pericolosità storica. A Torino, città che porta il peso e la memoria della Resistenza, qualcuno cercava di rifondare un mondo che credevamo archiviato una volta per tutte.