Un fatto di violenza in ospedale torna a far parlare di sé. A bari, un infermiere del reparto di pneumologia dell’ospedale Di Venere ha denunciato di essere stato picchiato senza apparente motivo dal figlio di un paziente. L’episodio, avvenuto mercoledì 29 aprile, ha suscitato reazioni da parte della struttura sanitaria e accesso il dibattito sulla sicurezza degli operatori negli ambienti ospedalieri.
La testimonianza diretta dell’infermiere aggredito
L’infermiere ha raccontato tramite un post su Facebook di essere stato colpito mentre assisteva diversi pazienti, incluso il padre dell’aggressore. Secondo la sua versione, l’uomo ha deciso arbitrariamente di alzargli le mani senza alcuna provocazione. Nel messaggio, definisce l’episodio “uno schifo” e sottolinea come l’aggressore sia già libero, addirittura con la possibilità di recarsi nel reparto dove lavora l’operatore sanitario e dove si sono verificati i fatti.
Questa denuncia mette a fuoco una situazione pesante per chi lavora in prima linea, con l’infermiere che sottolinea la difficoltà del sistema sanitario nel garantire condizioni di lavoro sicure per il personale. La sua rabbia si rivolge anche al sistema giudiziario, considerato troppo indulgente verso chi si rende responsabile di violenze senza apparenti conseguenze immediate.
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La risposta dell’azienda sanitaria locale di bari
L’Asl Bari non ha tardato a intervenire comunicando che è stata attivata la procedura prevista per la gestione della violenza contro gli operatori sanitari. Questo protocollo impone la segnalazione di ogni episodio di violenza, sia verbale che fisica, al servizio di prevenzione e protezione interno. Il servizio incaricato dovrà approfondire la segnalazione con un’analisi dettagliata e svolgere audit con il personale interessato, per trovare provvedimenti che riducano il rischio di nuovi episodi.
Nel comunicato, il direttore generale Luigi Fruscio prende posizione condannando fermamente l’aggressione e manifestando solidarietà alla vittima. Questa presa di posizione ufficiale indica la volontà dell’azienda sanitaria di affrontare con serietà il problema delle aggressioni ai danni di infermieri e medici, tema ricorrente nelle cronache del settore sanitario.
Violenza negli ospedali: il contesto più ampio
Gli episodi di violenza contro operatori sanitari sono frequenti, spesso innescati da tensioni causate da attese prolungate, esiti drammatici o difficoltà comunicative tra pazienti e personale. Il caso di bari si inserisce in un contesto nazionale dove infermieri e medici si trovano sempre più spesso a fronteggiare momenti di rischio fisico all’interno delle strutture ospedaliere.
Le procedure di sicurezza e prevenzione esistenti a livello locale e nazionale mirano a tutelare la salute degli addetti alla cura, ma spesso la loro applicazione incontra ostacoli legati a risorse limitate o a carenze organizzative. Le segnalazioni, come quella di bari, riflettono una problematica più ampia che riguarda non solo l’aggressione fisica ma anche aggressioni verbali e minacce, generando preoccupazioni su come migliorare le condizioni di lavoro.
Effetti sull’attività ospedaliera e sul personale
La violenza in ospedale crea un clima di crescente tensione. Quando un operatore sanitario viene aggredito mentre svolge il proprio ruolo, la sua capacità di concentrazione e di fornire cure può risentirne. Ci sono ripercussioni sulla serenità del reparto, con possibili effetti su tutto il team medico e infermieristico.
Gli episodi del genere mettono in dubbio anche la sicurezza complessiva dell’ospedale. Sembra necessario studiare interventi mirati per garantire che i luoghi di cura restino ambienti protetti sia per i pazienti sia per chi li assiste. Non a caso, dopo l’aggressione a bari, l’attenzione torna a focalizzarsi sulle modalità di gestione delle visite e sull’eventuale presenza di personale di sicurezza adeguato a prevenire simili situazioni.
Questa vicenda porta all’attenzione delle istituzioni e della collettività la necessità di un impegno concreto per tutelare chi, ogni giorno, si occupa di salvare vite e dare assistenza, senza dover temere ritorsioni fisiche all’interno degli stessi ospedali.