Il tumore del seno in stadio precoce, definito localizzato, resta una delle forme di cancro più curabili se riconosciute tempestivamente. In Italia l’incidenza annuale si attesta attorno ai 55-58 mila casi, secondo dati dell’Associazione italiana di oncologia medica . Lo sviluppo di programmi di screening ha permesso di individuare neoplasie di piccole dimensioni, spesso con linfonodi ancora indenni da metastasi. Ma anche in questa fase c’è una certa probabilità che la malattia torni, in particolare negli stadi 2 e 3, pur non escludendo del tutto lo stadio 1. La prevenzione delle recidive si basa ormai su valutazioni che vanno oltre il semplice stadio della malattia, includendo indicatori biologici e strumenti di biologia molecolare.
L’incidenza e l’importanza dello screening per il tumore mammario localizzato
In Italia circa 55-58 mila donne ogni anno ricevono una diagnosi di tumore mammario in fase precoce. Questo dato, raccolto dall’Aiom, conferma quanto sia diffusa la malattia ma anche quanto la diagnosi tempestiva possa fare la differenza. La diagnosi precoce si ottiene grazie a programmi di screening dedicati, che oggi riescono a intercettare tumori molto piccoli, spesso privi di interessamento linfonodale. Questo aspetto è cruciale: la presenza o meno di metastasi nei linfonodi condiziona sia la prognosi sia le scelte terapeutiche.
I programmi di screening riguardano soprattutto le donne tra i 50 e i 69 anni, categoria in cui la frequenza del cancro al seno è più alta. Questi controlli sistematici consentono di ridurre la mortalità attraverso la diagnosi e il trattamento in tempi veloci. Va detto però che anche nei tumori in stadio precoce rimane un margine di rischio di recidiva, specialmente negli stadi 2 e 3. Lo stadio 1, pur essendo il più iniziale, non elimina del tutto questo rischio anche se lo riduce.
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L’identificazione tempestiva permette di accedere a un ventaglio di cure efficaci, che vanno dalla chirurgia alla radioterapia fino alla terapia farmacologica. Ma capire quanto una paziente rischi di sviluppare una recidiva impone oggi un approccio più complesso e preciso rispetto al mero esame clinico e istologico.
Fattori biologici e strumenti genomici: come si valuta il rischio di recidiva
La semplice presenza o assenza di metastasi nei linfonodi non basta più a definire con precisione il rischio che un tumore al seno ritorni dopo il trattamento. Nel corso degli anni, medici e ricercatori hanno messo a punto metodi che approfondiscono il profilo biologico della neoplasia. A determinare la possibilità di recidiva entrano in gioco parametri proliferativi e caratteristiche specifiche delle cellule tumorali.
Sono stati introdotti i cosiddetti gene panel, test genomici che analizzano più geni contemporaneamente per prevedere la probabilità che la malattia riprenda il suo corso. Questi strumenti, basati sull’analisi del Dna tumorale, offrono indicazioni più mirate per calibrare le terapie, selezionando le pazienti che potrebbero beneficiare di trattamenti aggiuntivi. Si tratta di un passo importante per personalizzare la cura.
Il prof. Giuseppe Curigliano, docente di oncologia medica alla Statale di Milano e vicedirettore scientifico dell’Istituto europeo di oncologia , ha sottolineato che oggi il rischio va valutato con un approccio multidimensionale: “la combinazione di parametri clinici, biologici e molecolari fornisce una misurazione più precisa”. Questa consapevolezza ha permesso di adattare gli algoritmi di cura, migliorando la prevenzione delle recidive anche in pazienti con tumori considerati a bassa aggressività.
I progressi nel trattamento: il ruolo degli inibitori delle cicline
Negli ultimi anni la terapia del tumore mammario in fase precoce ha fatto progressi grazie a farmaci nuovi, in particolare gli inibitori delle cicline. Questi medicinali agiscono bloccando proteine chiave coinvolte nel ciclo di crescita cellulare, rallentando così la moltiplicazione delle cellule tumorali. L’adozione di questi farmaci ha cambiato il quadro terapeutico, incrementando le possibilità di controllo della malattia.
Per la prima volta, gli inibitori delle cicline sono stati approvati anche per pazienti con linfonodi non interessati dalla malattia. Questo è un elemento importante perché mostra come anche in questa categoria si possa intervenire per ridurre il rischio di recidiva. Studi clinici hanno evidenziato una riduzione significativa sia delle recidive locali che di quelle a distanza, ovvero che interessano organi lontani dal sito primario.
Le terapie oggi combinano diverse modalità: chirurgia per rimuovere il tumore, radioterapia per eliminare eventuali cellule residue e terapie endocrina e farmacologica, comprensive degli inibitori delle cicline. Questa strategia integrata ha l’obiettivo di trattenere la malattia prima che possa ripresentarsi. I dati confermano che le pazienti trattate con questo approccio hanno migliori percentuali di “invasive disease free survival” e “distance relapse free survival”, termini medici che indicano il tempo senza ritorno del tumore localmente e a distanza.
Sviluppi nella gestione del rischio e nuove sfide per i pazienti
La gestione del tumore mammario richiede oggi un’attenzione particolare al rischio individuale di recidiva. Il progresso scientifico ha ampliato gli strumenti a disposizione per compiere valutazioni precise, che guidano l’adozione di cure più mirate. La campagna #PronteAPrevenire, promossa da Novartis con diverse associazioni di supporto a livello nazionale, ha l’obiettivo di informare le pazienti su questi aspetti.
Gli specialisti spiegano che “una corretta conoscenza del rischio consente di evitare terapie inutili, riducendo effetti collaterali superflui, oppure di adottare trattamenti precoci per migliorare la sopravvivenza”. Il coinvolgimento attivo delle donne nella gestione della propria salute oncologica è fondamentale.
Il campo oncologico continua a muoversi verso soluzioni personalizzate, ma rimangono sfide da affrontare. Ogni caso di tumore al seno è unico e la probabilità di recidiva cambia molto in base alla biologia della malattia e alla risposta ai trattamenti. L’impegno medico e quello della ricerca biomedica restano concentrati sulla prevenzione e sul miglioramento della qualità della vita dei pazienti.