Sentenza della corte d’assise di Alessandria condanna Makka Sulaev per omicidio del padre a 9 anni e 4 mesi

Sentenza della corte d’assise di Alessandria condanna Makka Sulaev per omicidio del padre a 9 anni e 4 mesi

La condanna di Makka Sulaev per l’omicidio del padre ad Alessandria riapre il dibattito sulla violenza domestica e la protezione delle vittime, evidenziando un contesto familiare drammatico a Nizza Monferrato.
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La condanna di Makka Sulaev per l’omicidio del padre violento a Nizza Monferrato riapre il dibattito sulla violenza domestica e la tutela delle vittime in Italia. - Gaeta.it

La vicenda della famiglia Sulaev, arrivata dalla Cecenia nel 2018, ha scosso Nizza Monferrato e l’intero paese. La condanna inflitta a Makka Sulaev per l’omicidio del padre riapre il dibattito su violenza domestica e protezione delle vittime. Dietro la sentenza si intrecciano storie di soprusi, paura e un contesto familiare drammatico.

Il dopo sentenza e le reazioni sociali

Con la condanna definitiva di primo grado, Makka tornerà in carcere, dove è già detenuta da più di un anno in custodia cautelare. La madre e i fratelli, presenti durante l’udienza, hanno mostrato dolore e disperazione. La famiglia appare ora segnata profondamente da una ferita che difficilmente potrà chiudersi.

La difesa ha annunciato l’intenzione di presentare ricorso in appello. Chiederà che venga riconosciuto lo stato di necessità e la legittima difesa, mettendo in luce le prove e le testimonianze che raccontano anni di violenze. Questi passaggi faranno parte di un procedimento che continua a tenere alta l’attenzione su temi delicati come la protezione delle vittime di violenza domestica e l’efficacia degli strumenti di tutela.

Il caso Sulaev continua a far discutere anche a livello nazionale, intrecciando diritto, dolore e questioni sociali di grande rilevanza.

La famiglia sulaev e il contesto di violenza domestica

La famiglia Sulaev si era stabilita in Italia da alcuni anni dopo aver lasciato la Cecenia. Sin dall’arrivo, la madre di Makka e i figli hanno vissuto in un clima di violenza. Le testimonianze raccolte in aula hanno descritto il padre, Akhyad Sulaev, come un uomo che imponeva un controllo totale. Le aggressioni fisiche e psicologiche erano frequenti e creavano un’atmosfera di terrore soverchiante in casa.

Più di una volta vicini e amici hanno confermato urla che risuonavano nell’appartamento e minacce che segnavano la quotidianità della famiglia. Makka, insieme alla madre e ai fratelli, ha raccontato di anni passati nella paura di immediati episodi di violenza. Questo background ha costituito il quadro in cui è maturato il gesto fatale.

I fatti del 1° marzo 2024 e il processo

La notte del primo marzo 2024 ha segnato una svolta tragica. Durante un litigio scoppiato in casa, Makka Sulaev ha colpito il padre con due coltellate, una fatale. Subito dopo ha chiamato i soccorsi e confessato ciò che era accaduto. La ragazza, che all’epoca aveva 18 anni, è stata arrestata sul posto senza opporre resistenza.

In aula i dettagli della vicenda sono stati ricostruiti con precisione. La Procura ha invocato una condanna a 7 anni, riconoscendo il contesto di violenze come attenuante. Ha però escluso la legittima difesa, sostenendo che l’azione fosse volontaria e consapevole. La Corte d’Assise di Alessandria ha inflitto una pena più severa: 9 anni e 4 mesi. I giudici hanno escluso la premeditazione ma hanno giudicato l’omicidio non giustificato da una minaccia immediata.

A complicare la posizione di Makka è stato il fatto che alcune ore prima del delitto aveva acquistato un coltello. Inoltre, nel suo diario personale c’erano scritti che per l’accusa indicavano un’intenzione di colpire il padre. Questo ha rafforzato l’ipotesi di una volontà consapevole.

Le testimonianze e le difese nel processo

La difesa, sostenuta da avvocati e associazioni per i diritti delle donne, ha ribadito che Makka ha agito mosso dalla disperazione, non da una volontà di uccidere. Nel racconto portato in aula si è sottolineata la paura accumulata negli anni e la necessità di fermare un uomo che minacciava regolarmente la madre e i figli.

La giovane ha parlato in tribunale, con le lacrime agli occhi ha detto di non aver mai voluto la morte del padre. “Volevo solo impedirgli di fare del male a mia madre”, ha riferito, spiegando il suo stato di terrore. Queste parole hanno diviso l’opinione pubblica, tra chi sostiene giustizia per la vittima e chi ritiene che Makka sia stata spinta oltre da un sistema che non è riuscito a proteggerla.

Molte associazioni, tra cui Non Una di Meno e D.i.Re, si sono interessate al caso fin dall’inizio. Hanno criticato la sentenza, ritenendola una mancata occasione per riconoscere la violenza che troppo spesso resta nascosta dietro la porta delle case.

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