La recente sentenza della Corte d’Assise di Modena, riguardante l’uccisione di una donna e della figlia, ha suscitato accese polemiche. Le dichiarazioni della ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità , Eugenia Roccella, evidenziano la gravità di quanto emerso negli stralci pubblicati. La questione tocca nodi sensibili della giurisprudenza in relazione al tema del femminicidio e della violenza di genere. La posizione della ministra pone un interrogativo cruciale: le motivazioni di questa sentenza possono rappresentare un retrocesso nel tentativo di combattere tali reati?
Gli stralci della sentenza e la loro interpretazione
La ministra Roccella ha sottolineato la necessità di esaminare il testo integrale della sentenza per capire la logica alla base del pronunciamento. Tuttavia, le prime informazioni rilevate destano preoccupazione. Dal passaggio in cui la Corte sembra giustificare le azioni dell’imputato in base a ‘situazioni familiari‘ si deduce un approccio che potrebbe alimentare una cultura della giustificazione per la violenza. Le parole utilizzate dalla Corte, che apparirebbero spingere verso una “comprensibilità umana dei motivi“, rischiano di indebolire i principi di giustizia in casi di femminicidio.
La ministra specifica che il problema non è la pena irrogata, ma il modo in cui vengono analizzati i motivi alla base di un delitto così grave. Se i giudici tendono a interpretare la violenza come un risultato di situazioni familiari problematiche, si crea un pericoloso precedente che potrebbe essere utilizzato in futuro per minimizzare le responsabilità di crimini simili.
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Le implicazioni di una tale giurisprudenza
L’interpretazione dei motivi che portano a uccisioni all’interno delle mura domestiche solleva questioni etiche e legali. Accettare un nesso causale tale da giustificare la violenza per “motivi umani” potrebbe portare a una disgregazione dei principi giuridici che condannano senza riserve le violenze maschili contro le donne. Eugenia Roccella esprime preoccupazione sull’impatto che tale sentenza può avere nel favorire una cultura di impunità e di comprensione per chi compie reati così gravi.
Il rischio maggiore è che una tale giurisprudenza possa suggerire che ci siano giustificazioni sociali e familiari che legittimerebbero, in qualche modo, comportamenti violenti. Questo potrebbe non solo ostacolare le battaglie per il riconoscimento delle violenze di genere, ma anche creare un contesto pericoloso per le future generazioni, instillando in esse l’idea che le violenze possano essere giustificate.
Necessità di un cambiamento culturale
Le dichiarazioni della ministra Roccella evidenziano l’urgenza di promuovere un cambiamento culturale profondo e duraturo. Evitare che queste sentenze diventino un riferimento è fondamentale per mantenere vigile l’attenzione sulla violenza di genere. Se si affermasse un principio interpretativo che svilisce la gravità delle azioni criminali, si ritarderebbe il progresso necessario per una società più giusta e sicura.
Il dibattito su come affrontare la questione del femminicidio deve riguardare non solo la punizione dei colpevoli, ma anche la costruzione di una cultura che preveda zero tolleranza verso la violenza. Le istituzioni devono impegnarsi attivamente per promuovere una visione chiara e ferma contro le violenze, affinché si possa davvero porre fine a una lunga storia di abusi e discriminazioni. Il futuro delle politiche di genere potrebbe dipendere da come la comunità reagirà a queste sentenze e dalle misure intraprese per evitare ripetizioni di tale natura.