Un gruppo di organizzazioni non governative, tra cui Asgi, ActionAid, A Buon Diritto, Lucha y Siesta, Differenza Donna, Le Carbet e Spazi Circolari, ha fatto ricorso al Tar del Lazio contro un progetto di finanziamento del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale . Questo finanziamento si propone di sostenere l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni per quanto riguarda i programmi di rimpatrio “volontari” dalla Libia verso i paesi di origine dei migranti. La decisione del Tar è attesa per l’8 gennaio, quando sarà valutata la richiesta di sospensione cautelare di questi fondi, destinati, secondo le associazioni, a pratiche che violano i diritti umani.
Le criticità del finanziamento per i rimpatri
Le associazioni coinvolte nel ricorso evidenziano che la somma di quasi un milione di euro destinata a questi rimpatri viene giustificata con motivazioni umanitarie, ma nasconde, a loro avviso, intese politiche che si traducono in espulsioni mascherate. Queste operazioni, sostengono, non rispettano il principio di non refoulement, che vieta di rimandare nel loro paese persone che potrebbero affrontare persecuzioni, torture o violazioni dei diritti fondamentali. Le ong mettono in guardia anche rispetto ai diritti dei minori e delle vittime di tratta e violenza di genere, sottolineando come il finanziamento di queste operazioni contrasti con le normative internazionali di protezione.
Il progetto, che fa parte di un pacchetto di 7 milioni di euro destinati a supportare i migranti vulnerabili in Libia, si inserisce in un contesto più ampio. Negli ultimi anni, una parte significativa dei fondi italiani per la cooperazione allo sviluppo è stata dirottata verso politiche di esternalizzazione delle frontiere. In questo modo, si cerca di limitare l’arrivo di migranti nel territorio italiano, impiegando risorse che dovrebbero, idealmente, promuovere lo sviluppo e il benessere delle popolazioni vulnerabili.
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Questi rimpatri volontari, secondo le organizzazioni, non rappresentano altro che un’estensione delle politiche di esternalizzazione dei confini. Attualmente, grazie al supporto italiano alla Guardia Costiera libica, si sta registrando una significativa diminuzione delle partenze dai porti libici. Ciò nonostante, i programmi di rimpatrio non solo legittimano il sistema di controllo e contenimento dei flussi migratori, ma presentano anche una facciata umanitaria. Questo approccio, denunciano le associazioni, trasforma quelli che dovrebbero essere eventi di richiesta e accettazione di protezione in operazioni che rimandano individui in paesi in cui la loro sicurezza e dignità sono compromesse.
Le dichiarazioni delle ong pongono l’accento su come, talvolta, dietro l’etichetta di “rimpatrio volontario” si possano celare vere e proprie “espulsioni mascherate”. Queste ultime avvengono per lo più senza tenere conto delle reali necessità di chi si trova in una situazione di vulnerabilità , rimuovendo così la possibilità per molte persone di accedere a forme di protezione legittime a cui avrebbero diritto.
La richiesta delle associazioni
Le sette organizzazioni che hanno promosso il ricorso al Tar chiedono non solo la sospensione immediata dell’uso dei fondi italiani per i rimpatri operati dall’Oim, ma anche una dichiarazione di illegittimità sul finanziamento stesso. Questo appello è motivato dalla preoccupazione per le possibili violazioni dei diritti umani e per l’uso distorto di risorse destinate a progetti di vera assistenza e sostegno a chi è in difficoltà .
Le posizioni espresse nel ricorso rappresentano un grido d’allerta sull’uso strumentale di politiche che dovrebbero sostenere la dignità dei migranti, ma che, secondo quanto denunciato, rischiano di diventare strumenti di controllo dei flussi migratori. Con l’attesa di un pronunciamento del Tar, continua il dibattito sulle strategie che l’Italia adotta in materia di migrazione, evidenziando le sfide etiche e legali di queste scelte politiche.