Nuovo foro scoperto sulla seajewel, la petroliera colpita da attentato al porto di savona

Nuovo foro scoperto sulla seajewel, la petroliera colpita da attentato al porto di savona

La petroliera Seajewel, attaccata davanti a Savona con due ordigni di tipo mina limpet, è stata ispezionata al porto del Pireo; indagini coordinate da Genova e coinvolgono anche la Seacharm e rotte da Arzew e Libia.
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La petroliera Seajewel è stata vittima di un attentato con mine limpet davanti a Savona, con un secondo ordigno inesploso scoperto durante le indagini al porto del Pireo. Le autorità indagano su autori, moventi e rischi ambientali, coinvolgendo anche la petroliera gemella Seacharm. - Gaeta.it

La petroliera Seajewel ha mostrato nuove prove di un attentato avvenuto la notte di San Valentino davanti al porto di Savona. Le autorità hanno individuato un secondo squarcio sull’imbarcazione, confermando la presenza di un secondo ordigno che però non è esploso. La scoperta arriva durante l’ispezione al porto del Pireo, dove la nave è stata rimessa in secco settimane dopo l’attacco. Le indagini stanno cercando di chiarire dettagli, autori e motivazioni di questo episodio che avrebbe potuto provocare un grave disastro ambientale.

Origine del greggio e nuovi riscontri sull’attentato

Le indagini hanno stabilito che il petrolio trasportato dalla Seajewel proveniva dall’algerino porto di Arzew. È inoltre emerso che la petroliera gemella, la Seacharm, arrivata in Liguria qualche giorno dopo, trasportava greggio di origine libica. Questi dettagli sul carico indicano rotte precise di approvvigionamento, che gli inquirenti ritengono fondamentali per ricostruire la catena degli eventi.

L’attenzione si concentra anche sulla scatola nera della Seajewel, ancora al vaglio degli investigatori per capire se il sistema di tracciamento sia stato spento volontariamente durante la navigazione. Un eventuale blackout del tracker potrebbe indicare un’azione ben pianificata da parte degli attentatori, volta a coprire la loro presenza o il luogo esatto dell’attentato.

Analisi del secondo squarcio e le condizioni della seajewel

Dopo l’attentato, la petroliera era stata trasferita al porto del Pireo per accertamenti approfonditi. Qui gli investigatori hanno riscontrato un secondo foro, causato da un ordigno che, contrariamente a quanto si pensava, non è esploso al momento del ritrovamento. Questo particolare fa ritenere che la bomba sia rimasta attiva ma non abbia danneggiato la camera di sicurezza del petrolio contenuto nel serbatoio. Il mancato scoppio ha evitato una possibile fuoriuscita di greggio che avrebbe avuto conseguenze ambientali gravi.

L’ispezione ha permesso di verificare che anche la seconda esplosione ha lasciato intatti i muri che proteggono il carburante. Le autorità stanno raccogliendo ulteriori dati per capire la natura dell’ordigno e le modalità del suo impiego. Il fatto che uno dei due ordigni non sia detonata apre nuovi scenari sulle dinamiche dell’attacco e sulla pericolosità degli artefatti utilizzati.

Perizie tecniche e ipotesi sugli ordigni usati

Due periti nominati dalla procura di Genova, Federico Canfarini e l’ingegnere navale Alfredo Lo Noce, sono intervenuti direttamente per esaminare lo scafo della Seajewel. Le tracce analizzate lasciano pensare che gli ordigni impiegati siano mine limpet, note anche come “a patella”. Queste bombe si fissano sullo scafo con magneti e contengono esplosivi come il tritolo.

Le autorità greche, impegnate nelle indagini sulla Seacharm, sostengono la stessa ipotesi per il secondo attentato. Le caratteristiche rilevate nei tamponi prelevati dallo scafo della Seajewel confermano il tipo di ordigno e suggeriscono un’unica matrice per gli episodi accaduti a poca distanza di tempo. Questo dettaglio aiuta a delineare la tecnica e la provenienza degli attentati, orientando le ricerche verso un gruppo o una rete capace di operare con strumenti militari specifici.

Gli approfondimenti sulle mine limpet evidenziano la pericolosità di queste bombe navali, soprattutto in contesti di traffico commerciale. Il fatto che il petrolio non sia fuoriuscito grazie a muri di contenimento intatti è al momento una circostanza fortunata che ha evitato un disastro ambientale nella zona. Continuano gli accertamenti per collegare tutti i pezzi del puzzle, mentre le autorità mantengono alta l’attenzione sulle rotte e sulle navi coinvolte.

Indagini della procura e ipotesi sul movente dietro l’attentato

Il procuratore Nicola Piacente e la pm Monica Abbatecola hanno aperto un fascicolo con l’ipotesi di naufragio aggravato da terrorismo. La procura ha affidato le indagini alla digos e alla guardia costiera per approfondire tutti gli aspetti, da chi ha eseguito l’attacco a quale sia stato il movente. Tra le piste seguite, quella di un possibile collegamento con la cosiddetta flotta fantasma russa, da tempo sotto osservazione per attività sospette nel Mediterraneo.

La complessità dell’attentato, il tipo di ordigni utilizzati e la scelta delle imbarcazioni colpite suggeriscono che dietro ci sia un’organizzazione con capacità tecniche e strategiche specifiche. Le autorità italiane e greche stanno quindi lavorando insieme per individuare prove sul terreno e sviluppare un quadro completo degli eventi.

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