Un drammatico episodio ha scosso il quartiere Africano di Roma, dove Alessio Lori, noto con il soprannome di “Chiappa“, è stato trovato senza vita in un Bed & Breakfast di via Tripoli. La scoperta del corpo, avvenuta alcuni giorni fa, ha subito attirato l’attenzione delle autorità e degli inquirenti, i quali, dopo un’analisi preliminare, suggeriscono che si tratti di suicidio. Lori, ex luogotenente del boss albanese Elvis Demce e coinvolto nel traffico di droga, aveva un passato tormentato, segnato da tensioni interne e vendette nel crimine organizzato.
La morte di Alessio Lori: le circostanze
Alessio Lori è stato trovato riverso a terra nella sua stanza, con un colpo di pistola in fronte. La pistola utilizzata per il tragico gesto era stata rinvenuta accanto a lui. Con un passato di evasioni e arresti, Lori era tornato in detenzione agli arresti domiciliari lo scorso agosto. Il pubblico ministero Francesco Cascini ha aperto uno stralcio di indagine per omicidio, considerato il contesto e le circostanze, ma sembra che vi sia un consenso tra gli investigatori sulla natura suicida dell’evento.
Lori era stato condannato a 14 anni di carcere in primo grado per fatti legati a narcotraffico, estorsione, spaccio e incendio. La sua figura si intreccia a quella del noto narcotrafficante Fabrizio Piscitelli, soprannominato “Diabolik“. La vita di Lori è stata caratterizzata da un’intensa attività criminale, culminata in tentativi di vendetta legati a scontri tra bande rivali.
Il legame con il crimine organizzato romano
La biografia criminale di Alessio Lori è segnata da relazioni pericolose e collaborazioni discutibili. Era considerato un braccio destro del boss albanese Elvis Demce, entrando così a far parte del tessuto della criminalità organizzata romana. La sua carriera è iniziata nel quartiere di Centocelle, ma ha trovato una vera e propria affermazione nel controllo della piazza di spaccio di Tor Bella Monaca, teatro di scontri e conflitti interni.
Nel crocevia di vendette e alleanze, Lori era stato uno degli organizzatori dell’omicidio di Giuseppe Molisso, un narcotrafficante ritenuto un avversario del suo boss. La richiesta di giustizia per la morte di Piscitelli ha spinto Lori a muoversi in un contesto ridotto e sempre più pericoloso, dove i confini tra alleato e nemico diventano sempre più sottili e lottare per la sopravvivenza si trasforma in questione di vita o di morte.
La spirale della violenza e le pressioni interne
Con il suo passato criminale e un ambiente sempre più ostile, Lori sembrava braccato non solo dalle forze dell’ordine, ma anche dai suoi stessi alleati. I cugini Fabrizio e Simone Capogna, entrati a far parte del programma di protezione testimoni, rappresentano un rischio significativo per Lori. Le loro rivelazioni sulla vita criminale a Roma e sull’omicidio di Piscitelli hanno reso difficile il panorama per chi, come Lori, si trovava nell’occhio del ciclone.
La pressione psicologica che deve aver percepito negli ultimi tempi è palpabile. Il suo ambiente, una volta gravido di opportunità, si era trasformato in una gabbia dorata da cui poteva solo scappare. La paura di ritorsioni e delle numerose vendette in un mondo spietato come quello del narcotraffico può aver giocato un ruolo decisivo nel tragico gesto. Una vita segnata da scelte difficili sembra culminare in una fine solitaria e drammatica, simbolo di un’esistenza dedicata al crimine.
Ultimo aggiornamento il 28 Novembre 2024 da Laura Rossi