Nel cuore pulsante di Milano, l’arte si fa strumento di denuncia sociale. Ieri, alle 12.30, un uomo ha attirato l’attenzione mentre camminava scalzo, intrappolato in una catena legata alla caviglia. Sul suo camice bianco spiccava una targa di ferro su cui era inciso “privato”. Questo drammatico gesto, messo in scena dall’artista sardo Nicola Mette, ha acceso un riflettore su una delle questioni più scottanti del nostro tempo: la crisi del sistema sanitario italiano. Mette, con la sua performance intitolata “Privato”, ha inteso portare un messaggio chiaro e diretto, un vero e proprio grido di allarme contro l’indifferenza nei confronti dei diritti fondamentali.
La performance “privato”: un cammino di denuncia
La performance di Mette non è stata solo un’azione di critica, ma si è trasformata in un vero e proprio corteo silenzioso. Ogni passo che compiva, accompagnato dal clangore metallico della catena sull’asfalto, rappresentava una testimonianza visiva e sonora della difficoltà di accedere alle cure mediche nel nostro Paese. “Ogni colpo della catena è un urlo che denuncia come i diritti vengano trasformati in beni di lusso”, ha dichiarato Mette. La scelta del materiale e l’assenza di parole hanno contribuito a creare un’atmosfera di riflessione profonda, invitando i passanti a considerare la penuria delle medicazioni e la frattura crescente tra chi può permettersi un’assistenza sanitaria di qualità e chi, al contrario, è costretto a subire l’inefficienza di un sistema in crisi. La performance ha avuto luogo in luoghi simbolici, come il Duomo e il Palazzo della Regione Lombardia, accentuando ulteriormente il messaggio di contrapposizione tra l’ideale di città e la realtà dei fatti.
Rappresentare l’ineguaglianza: l’emozione oltre il gesto
Nicola Mette, attivo nel panorama artistico da oltre 25 anni, ha evidenziato che la performance “Privato” vuole accendere i riflettori su una questione fondamentale per tutti i cittadini: “La catena rappresenta una divisione sociale che colpisce i più fragili. Le liste d’attesa interminabili e le cure trascurate sono un segno tangibile di un sistema pubblico che sta cedendo sotto il peso delle disuguaglianze”. Gli scatti di Raùl Funes, Cristina Abbate e Marco Alan Maitti hanno immortalato la scena, mentre le riprese aeree di Daniela Falcone hanno fornito una visione panoramica dell’azione, documentando l’eco che la protesta ha avuto tra i passanti.
L’artista si è distaccato dall’idea di spettacolarizzazione, cercando piuttosto una forma di comunicazione silenziosa e significativa per il pubblico. “Volevo creare una tensione che spingesse alla riflessione su cosa significhi essere cittadini in un paese che sta privatizzando i diritti fondamentali”, ha ribadito. La scelta di un linguaggio non verbale è stata deliberatamente studiata per far sì che i partecipanti si concentrassero sull’impatto emotivo e sulla gravità della situazione, piuttosto che su un mero intrattenimento.
Un messaggio che attraversa le isole: dalla Lombardia alla Sardegna
Mette ha specificato che la sua performance non si esaurisce nel contesto milanese, ma si estende idealmente fino alla Sardegna, la sua terra d’origine. “Nella mia isola le disuguaglianze in tema di salute sono ancora più marcate”, ha affermato. La sua azione porta con sé il dolore di una collettività , una condizione di malessere che oltrepassa le singole storie e diventa un grido di aiuto da parte di interi territori. Con ogni passo, l’artista ha voluto rendere palpabile la distanza tra le promesse politiche di equità e la realtà della vita quotidiana delle persone.
La frase “la sofferenza non è più solo individuale, ma collettiva” riassume l’essenza di questa marcia, un movimento che vuole smuovere le coscienze e far comprendere che la crisi sanitaria non è un problema isolato, ma un’emergenza sociale complessa. La sua performance diventa così il legame tra un uomo e una collettività che, attraverso il silenzio e il suono metallico della catena, testimonia una realtà che è impossibile da ignorare.
L’arte, dunque, torna a svolgere il suo compito di custode della memoria e della verità , portando in primo piano una questione sociale che deve essere affrontata con urgenza, rinnovando così la chiamata alla responsabilità collettiva per un futuro migliore e più giusto.