La convivenza professionale di magistrati sposati all’interno di un tribunale può sollevare dubbi sul rischio di conflitti d’interesse. A Brescia, un caso ha attirato l’attenzione per una coppia di giudici che ha lavorato insieme per 17 anni senza che emergessero problemi rilevanti. Il nodo riguarda la decisione del Consiglio superiore della magistratura di disporre il trasferimento della pm antimafia, mentre il marito, giudice penale di lungo corso, ha scelto di cambiare settore per evitare complicazioni. Questo episodio solleva questioni legate ai criteri di incompatibilità e alla gestione della trasparenza nei tribunali.
La memoria depositata e la posizione dei magistrati coinvolti
Roberto Spanó e Roberta Panico, magistrati sposati che operano nel Palazzo di Giustizia di Brescia, hanno presentato una memoria al Csm per contestare la pratica di incompatibilità basata esclusivamente sul loro legame coniugale. I due sottolineano che, in 17 anni, non sono mai arrivate segnalazioni da parte di avvocati, imputati o parti interessate circa conflitti o interferenze. Spiegano di aver sempre comunicato tempestivamente il proprio rapporto affettivo e di non aver mai nascosto nulla.
Spanó e Panico spiegano che, nel loro lavoro, non si sono mai verificati episodi di ricusazione per motivi legati al matrimonio né altre forme di contestazione. Ribadiscono che anche negli aspetti procedurali né interferenze né condizionamenti hanno mai avuto luogo. La loro memoria si basa su dati concreti e sulla pratica quotidiana nel tribunale, che non ha mai riscontrato criticità da parte dell’utenza.
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L’insistenza sulla trasparenza e sulla comunicazione chiara riguarda anche il metodo adottato per gestire eventuali conflitti, dimostrando rispetto per l’ordinamento interno e le regole deontologiche. Questa posizione evidenzia un approccio pragmatico nella gestione delle situazioni che, in altri tribunali, sarebbero potute diventare fonte di tensione.
Il caso della pm dell’antimafia e il trasferimento bloccato
La presidente della seconda sezione penale del tribunale di Brescia, Cristina Amalia Ardenghi, ha sollevato la questione dell’incompatibilità tra magistrati coniugati durante una recente audizione davanti al Csm dedicata ai carichi di lavoro nelle sezioni penali. Ha segnalato il problema come potenziale fonte di criticità nell’organizzazione del lavoro giudiziario.
Al centro della vicenda c’è la pm di antimafia Roberta Panico, la quale doveva essere trasferita a seguito dell’intervento del Csm proprio per contrastare la presunta incompatibilità con lo status coniugale. Il marito, Roberto Spanó, ha invece scelto di lasciare l’area penale, dove aveva svolto l’intera carriera anche trattando casi complessi come quello della strage di Piazza della Loggia. Il suo passaggio al settore civile ha paralizzato il trasferimento, e la coppia ha così evitato la separazione forzata per motivi di eccezioni legate al rapporto di coppia.
Quando si parla di incompatibilità in casi simili, si fa riferimento a possibili condizionamenti nella gestione dei procedimenti, per cui si cerca di evitare sovrapposizioni o influenze reciproche. Qui però, la vicenda evidenzia una realtà in cui le dinamiche personali non hanno alterato l’andamento delle funzioni giudiziarie.
I dati statistici e l’assenza di casi di incompatibilità
La memoria indicata da Spanó e Panico si regge su dati specifici raccolti dal 2018 al presente. Secondo i numeri esposti, su 1830 processi gestiti, solo tre sono stati trasferiti da una sezione penale a un’altra a causa di incompatibilità, e di questi soltanto uno era presieduto da un giudice monocratico. Questi valori riflettono un margine molto limitato di casi in cui il rapporto di coppia ha determinato problemi organizzativi.
L’evidenza statistica contrasta con l’impressione comune che una convivenza così stretta tra magistrati nello stesso tribunale debba necessariamente generare tensioni o incompatibilità. Lo scambio professionale tra Spanó e Panico si è svolto con trasparenza e rispetto delle regole, senza mai nascondere la loro relazione.
L’intervento dei due magistrati punta anche a sottolineare che, nonostante la sensibilità crescente a fronte dei casi di incompatibilità, nel loro caso l’esperienza ha mostrato che il rischio è gestibile. La linea difensiva evidenzia come non basti il solo legame coniugale per ritenere inutile o problematica la presenza simultanea nello stesso organo giudiziario.
Le conseguenze e le possibili riflessioni per il sistema giudiziario
La vicenda di Brescia mette in luce un tema delicato e ancora aperto tra gli addetti ai lavori: il confine tra carriera professionale e vita privata quando i due ambiti si incrociano. La scelta del giudice Spanó di passare dal penale al civile per evitare trasferimenti imposti segnala un passo pratico in un contesto difficile.
Dal punto di vista del Csm, garantire l’indipendenza e l’imparzialità della magistratura resta la priorità. Ma i casi concreti devono essere valutati partendo dai fatti, senza assumere pregiudizi solo sulla base di rapporti personali. Brescia illustra che il lavoro di coppia sul fronte giudiziario può procedere senza interferenze, purché supportato da trasparenza e chiara comunicazione.
Questa situazione potrà stimolare un dibattito più ampio sulle regole di incompatibilità e sui criteri per stabilire quando trasferire i magistrati. L’esperienza di questi 17 anni aiuta a comprendere quando e come evitare frizioni inutili negli uffici giudiziari, mantenendo alta l’attenzione su correttezza e rispetto delle norme.