L’attività di ricerca clinica in Italia è tra le più rilevanti in Europa, con oltre 2.600 studi clinici avviati dal 2022 a oggi. Questo posiziona il paese al quarto posto nel vecchio continente, dietro paesi come Spagna, Francia e Germania. Ma i numeri positivi incontrano diversi limiti, soprattutto legati ai finanziamenti ridotti e alle lentezze burocratiche che rallentano l’accesso a nuove cure. L’emergere di problemi strutturali e la necessità di maggior personale qualificato fanno da sfondo al dibattito emerso durante il convegno Foce tenutosi a Roma, in cui medici e ricercatori hanno discusso dettagliatamente lo stato della ricerca medico-scientifica italiana.
Occupazione dei primi posti in europa per gli studi clinici: dati e confronto con gli investimenti
L’Italia ha registrato 2.674 sperimentazioni cliniche dal 2022 a oggi, posizionandosi dopo Spagna , Francia e Germania . Questi dati indicano un’attività intensa, ma vanno inseriti in un contesto dove l’impegno finanziario nazionale è lontano dai livelli degli altri paesi. Il nostro paese investe circa 2,86 miliardi di euro all’anno in ricerca biomedica, una frazione piccola rispetto ai 22 miliardi complessivi destinati a tutto il settore ricerca e sviluppo, valore che corrisponde all’1,3% del Pil. Non a caso, si occupa il 18esimo posto in Europa per spesa in questo ambito e si colloca fra le ultime nazioni a livello globale.
Solo il 39% delle risorse arriva da finanziamenti pubblici, mentre una quota consistente, pari a 1,3 miliardi, proviene dal settore farmaceutico, principalmente per le sperimentazioni. Il dato segnala una forte dipendenza dall’industria privata e al contempo una limitata capacità di sostegno pubblico, che limita le possibilità di ricerca indipendente.
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Problemi strutturali e carenza di personale specializzato nella ricerca clinica italiana
Francesco Cognetti, presidente di Foce, ha evidenziato, durante il convegno di Roma, la presenza di diverse difficoltà che frenano il pieno sviluppo della ricerca italiana. Pur riconoscendo la tradizione di eccellenza in ambito medico-scientifico, ha richiamato l’attenzione sull’insufficienza di fondi, sulla mancanza di professionisti specializzati come data manager, infermieri di ricerca e bioinformatici, figure indispensabili nelle sperimentazioni. Questa carenza influisce sull’efficacia e sulla quantità di studi condotti.
Inoltre, la lunghezza dei tempi burocratici per l’approvazione delle sperimentazioni rappresenta un ostacolo consistente, con ritardi che incidono anche sull’operato dei Comitati Etici. In particolare, la ricerca indipendente, sviluppata al di fuori degli interessi delle aziende farmaceutiche, ha subito un calo significativo, penalizzando la varietà e l’autonomia degli studi.
L’esempio più significativo arriva dal campo oncologico, dove solo il 20% delle ricerche riguarda studi no profit su nuovi farmaci. Il 80% restante è invece controllato da sponsor industriali, ribadendo la dipendenza da finanziamenti privati in questa area. La conseguenza diretta è il rallentamento nell’accesso dei pazienti a nuove cure e terapie.
Ritardi nell’accesso ai farmaci innovativi e disuguaglianze regionali nell’erogazione
Uno dei temi più urgenti affrontati riguarda i tempi che passano dall’approvazione dei farmaci da parte dell’Ema fino alla loro effettiva disponibilità nelle regioni italiane. Attualmente, questa attesa supera in molti casi i 500 giorni. Se si considerano soprattutto i medicinali innovativi e quelli orfani, destinati a patologie rare, la situazione si complica ulteriormente.
La presenza dei prontuari terapeutici regionali contribuisce a creare forti dislivelli geografici nell’accesso ai farmaci, generando disparità tra cittadini delle diverse aree del paese. Questa situazione è vista come una violazione del diritto alla salute sancito dall’articolo 32 della Costituzione. La proposta di Cognetti è di eliminare i piani terapeutici regionali per azzerare i tempi locali di accesso, permettendo così a tutti i pazienti di ricevere tempestivamente terapie efficaci.
Il nuovo Comitato etico nazionale, nato per valutare sperimentazioni su terapie avanzate come quelle geniche o cellulari, è stato criticato per la composizione dei suoi membri, giudicata meno adeguata rispetto al precedente, in termini di competenze specifiche e risultati scientifici.
Ottimizzazione delle risorse e limiti della ricerca traslazionale in italia
Giuseppe Ippolito, docente all’International Medical University di Roma, ha richiamato la necessità di evitare sprechi in un periodo di difficoltà economiche, privilegiando allocazioni di denaro che rispondano ai bisogni veri di salute dei pazienti. Ha indicato come fondamentale ridurre la ricerca duplicativa e garantire che i fondi pubblici non vengano sovrapposti su stessi soggetti senza coordinazione.
Sergio Abrignani, professore di Patologia generale all’università di Milano, ha evidenziato che il capitale di rischio destinato alla ricerca traslazionale in Italia resta scarso, con poche startup o iniziative nel campo delle biotecnologie, specialmente per farmaci di precisione come anticorpi monoclonali o terapie a mRna. L’industria farmaceutica nazionale si concentra soprattutto sulla produzione di molecole chimiche di vecchia generazione.
Ha suggerito che, reduce da altri paesi europei, l’apporto della filantropia potrebbe offrire una spinta rilevante a questo settore, favorendo investimenti privati non direttamente legati alle big pharma.
Frammentazione del sistema di ricerca e criticità degli irccs italiani
La ricerca biomedica si presenta molto frammentata. Sul territorio nazionale sono attivi 54 Irccs, strutture pubbliche che dovrebbero rappresentare centri di riferimento per la ricerca e le cure ma che soffrono di carenze organizzative e finanziarie. I finanziamenti pubblici destinati agli Irccs sono saliti solo da 172 a 179 milioni di euro dal 2022 al 2024, un aumento minimo e non sufficiente a sostenere un incremento delle attività.
I numeri dei pazienti coinvolti e del numero di trials sono rimasti fermi a circa 7.400 e 61.800 rispettivamente, indicando una stagnazione. Il rischio evidente è una qualità scientifica insufficiente in metà dei centri, con risorse umane e finanziarie scarse. Non è previsto un aumento di fondi con il riconoscimento di nuovi Irccs, che aggraverebbe la dispersione dei contributi.
Ruolo e potenzialità degli enti pubblici di ricerca per la biomedicina italiana
Oltre agli Irccs, gli enti pubblici di ricerca giocano un ruolo importante, soprattutto nella ricerca traslazionale e preclinica. Luisa Minghetti, direttore coordinamento e promozione della ricerca all’Istituto superiore di sanità, sottolinea come questi enti contribuiscano sia con pubblicazioni scientifiche sia con trasferimento tecnologico.
Una maggiore integrazione degli Epr nel sistema nazionale potrebbe aiutare a superare la frammentarietà, favorendo piattaforme di ricerca condivise e evitando dispersioni. L’Iss, unico Epr sotto la vigilanza del ministero della Salute, potrebbe guidare questo processo, garantendo una maggiore coesione tra istituzioni e centri di ricerca.
Disparità nell’accesso ai farmaci oncologici e avanzamento della medicina di precisione
Rosanna D’Antona, presidente di Europa Donna Italia, segnala che i farmaci innovativi oncologici non sono disponibili in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. I 21 sistemi sanitari regionali presentano differenze nell’approvazione e nella prescrivibilità, specialmente per i farmaci salvavita. Nel suo “Manifesto Tsm” si richiede un’accelerazione per rendere subito prescrivibili queste terapie, per evitare disparità ingiustificabili tra pazienti.
Francesco Cognetti ricorda che la sopravvivenza a cinque anni per le diverse forme di cancro è attualmente del 59% tra gli uomini e 65% tra le donne, dati che attestano la qualità dell’oncologia italiana. Tuttavia, questi progressi rischiano di non durare se non si interviene sulle barriere burocratiche ed economiche.
Anche in ematologia si lavora sempre più in direzione della medicina di precisione, spiega Paolo Corradini, past president della Società italiana di ematologia. Nuove diagnosi e terapie personalizzate hanno migliorato significativamente la cura delle malattie del sangue, grazie soprattutto alla ricerca clinica continua.
Malattie cardiovascolari e necessità di rafforzare la ricerca nel campo cardio-cerebrovascolare
Ciro Indolfi, presidente della Federazione italiana di cardiologia, sottolinea come le patologie cardiovascolari rimangano la causa principale di morte in Italia, con un impatto economico diretto di circa 42 miliardi di euro all’anno. La mortalità è particolarmente alta per i casi di morte improvvisa, che colpisce metà dei pazienti prima ancora del ricovero ospedaliero.
Nonostante progressi come l’angioplastica coronarica, rimane urgente potenziare la ricerca in questo ambito. Secondo Indolfi, l’aiuto di tecnologie come l’intelligenza artificiale e l’arrivo di nuovi farmaci potrebbero abbassare il rischio cardiovascolare italiano fino ai livelli di paesi come Francia e Spagna. La ricerca, insomma, resta il pilastro per migliorare le cure e la prevenzione in questa area critica della salute pubblica.