La situazione attuale nel Medio Oriente, con i crescenti conflitti tra Israele, Hamas e Hezbollah, ha portato a conseguenze aziendali e socio-economiche ben più ampie di quanto si possa pensare. I costi, che includono sia le spese militari sia le perdite economiche dirette e indirette, sono allarmanti e possono influire in modo significativo sul Pil del paese. Analizzare l’evoluzione di queste spese aiuta a comprendere il panorama economico attuale di Israele e le sfide che affronta a breve termine.
Costi diretti del conflitto e spese militari
Con l’intensificarsi delle operazioni militari, il conflitto ha esposto Israele a costi diretti di natura estremamente elevata. Il costo stimato del conflitto, fornito dalla banca centrale israeliana, si colloca tra i 67 miliardi e i 120 miliardi di dollari, rappresentando circa il 20% del Prodotto Interno Lordo del paese. Questi costi comprendono circa 32 miliardi di dollari destinati esclusivamente a spese militari. Una parte significativa di queste spese è dedicata ai sistemi di difesa, come l’Iron Dome, che, sebbene sia efficace, comporta spese rilevanti: il costo di ogni missile dell’Iron Dome è di circa 50.000 dollari. Questo sistema di difesa, schierato per la prima volta nel 2011, ha dimostrato di essere vitale per la protezione del territorio, ma la sua implementazione riporta in primo piano il dilemma del bilanciamento dei costi contro la sicurezza nazionale. A ciò si aggiungono i sistemi ‘Fionda di Davide‘ e Arrow, il cui costo è rispettivamente di circa 1 milione a missile e 3,5 milioni per unità.
A causa delle tensioni crescenti e dell’impatto del conflitto con l’Iran, i costi potrebbero ulteriormente salire, mentre si stima che oltre 10 miliardi di dollari siano destinati al trasferimento di cittadini israeliani costretti ad abbandonare le loro abitazioni per motivi di sicurezza. Le stime dei danni da riparare si avvicinano a 6 miliardi di dollari, rendendo il quadro economico sempre più instabile.
Effetti sull’economia locale e le imprese
L’impatto del conflitto non si limita a cifre esorbitanti riguardanti il bilancio militare, ma si estende anche al settore privato. Infatti, circa 287.000 riservisti sono stati richiamati alle armi dall’ottobre scorso, creando una scarsità di manodopera in un paese con una popolazione totale di meno di 10 milioni di abitanti. Le aziende israeliane, in particolare quelle operanti nei settori dell’edilizia, turismo e agricoltura, hanno registrato una significativa contrazione delle operazioni. Secondo CofaceBdi, 46.000 aziende hanno chiuso a causa del conflitto, e vi è la previsione che questo numero possa aumentare a 60.000 entro la fine dell’anno.
Il turismo, uno dei pilastri dell’economia israeliana, ha subito una contrazione drammatica, con un calo superiore al 75%. Le vie trafficate di Gerusalemme, un tempo piene di turisti, ora appaiono deserte. L’incertezza del mercato, unita a un ambiente di collaborazione praticamente assente con i lavoratori palestinesi, ha fortemente impattato le aziende locali. Prima dell’inizio delle ostilità, i lavoratori palestinesi rappresentavano il 30% della forza lavoro nel settore edile. Adesso, molti di loro non possono entrare nel territorio israeliano e, conseguentemente, la produzione e i lavori di costruzione sono stati compromessi.
Prospettive future e incertezze economiche
Il contesto di crescente incertezza politica e militare ha portato agenzie come S&P e Moody’s a rivedere le stime di crescita per l’economia israeliana. S&P ha recentemente abbassato il proprio rating, indicando che il PIL potrebbe registrare una crescita nulla nel 2024 rispetto alla precedente stima di +0,5%. Analogamente, Moody’s prevede una crescita molto limitata per il prossimo anno. Entrambe le agenzie sono concordi nel sostenere che l’incertezza geopolitica smorzerà la fiducia di consumatori e investitori, con i settori più vulnerabili destinati a soffrire per prime.
L’aumento della durata del servizio militare, che potrebbe durare fino a 36 mesi, rappresenta un altro fattore aggravante per il mercato del lavoro. L’assenza prolungata di una porzione significativa della forza lavoro mette a rischio la produttività e la capacità economica del paese di recuperare e prosperare in un contesto post-conflitto.
Inoltre, le difficoltà di attrarre investimenti stranieri a causa delle attuali problematiche di sicurezza comportano una situazione critica per le aziende che cercano capitale e risorse per riprendersi. Di fronte a queste sfide, restano molte perplessità sull’evoluzione del contesto economico israeliano, e la strada verso una stabilità economica si preannuncia complessa.
Ultimo aggiornamento il 2 Ottobre 2024 da Donatella Ercolano