L’epatite d riconosciuta come cancerogena dall’oms nel contesto della giornata mondiale dell’epatite

L’epatite d riconosciuta come cancerogena dall’oms nel contesto della giornata mondiale dell’epatite

L’Organizzazione mondiale della sanità classifica l’epatite d come agente cancerogeno, evidenziando il rischio aumentato di tumore al fegato e la necessità di potenziare prevenzione, diagnosi e terapie entro il 2030.
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L’Organizzazione mondiale della sanità ha classificato l’epatite D come cancerogena per l’uomo, evidenziando il rischio aumentato di tumore al fegato e la necessità di intensificare prevenzione, diagnosi e trattamento a livello globale. - Gaeta.it

L’Organizzazione mondiale della sanità ha ufficialmente classificato l’epatite d come agente cancerogeno per l’uomo. Questa decisione arriva nel corso della Giornata mondiale dell’epatite 2025 e sottolinea l’urgenza di intensificare gli sforzi nella prevenzione, diagnosi e cura delle infezioni virali che colpiscono il fegato. L’epatite d, che si manifesta soltanto in chi è già infetto dal virus dell’epatite b, aumenta il pericolo di sviluppare tumori epatici fino a sei volte. Questo riconoscimento rappresenta un punto importante nella lotta globale contro le malattie epatiche gravi.

La classificazione dell’epatite d come cancerogena e il suo impatto sul rischio di tumore al fegato

L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro , parte dell’oms, ha inserito l’epatite d tra i fattori carcinogeni umani. L’epatite b e c erano già riconosciute da tempo come cause di cancro al fegato, ora si aggiunge anche l’epatite d, specifica per i soggetti già infettati dal virus b. Questa coinfezione modifica profondamente il decorso della malattia epatica aumentando da due a sei volte il rischio di carcinoma epatocellulare rispetto ai pazienti con sola epatite b. Il dato propone una sfida ai sistemi sanitari mondiali per migliorare la individuazione precoce e ampliare le opzioni terapeutiche dedicate.

Protocolli aggiornati dall’oms per diagnosi e trattamento

L’oms ha pubblicato protocolli aggiornati nel 2024 per migliorare la diagnosi dell’epatite b e d tramite esami specifici. La direttrice per la scienza e la salute Meg Doherty ha spiegato che l’agenzia monitora da vicino i risultati di nuovi trattamenti che potrebbero modificare la prognosi di questa malattia ancora sottovalutata. “Questi strumenti rappresentano una base concreta per contenere l’impatto della malattia e intervenire in modo più tempestivo,” ha affermato.

Il peso dell’epatite virale sulla salute globale: morti e diagnosi nascoste

Nel mondo, l’epatite rappresenta ancora una minaccia pesante per la salute pubblica. Un decesso ogni 30 secondi è causato da malattie epatiche gravi o da carcinomi legati all’infezione da epatite. Questo dato conferma la gravità della situazione e il bisogno di azioni immediate e coordinate. Il direttore generale dell’oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha chiesto con forza a governi e partner di intensificare la lotta contro queste malattie, basando le strategie su prevenzione, trattamento e riduzione delle complicanze.

Forme di epatite e loro impatto cronico

L’epatite può essere di tipo a, b, c, d o e, ma solo i virus b, c e d danno origine a forme croniche che portano a cirrosi, insufficienza epatica e tumore. Più di 300 milioni di persone nel mondo convivono con queste forme croniche, spesso senza saperlo. I morti annui collegati superano 1,3 milioni, in gran parte per complicazioni epatiche. Questi numeri evidenziano la necessità di ampliare il ricorso ai test diagnostici, recuperare chi ignora l’infezione e garantire nuove terapie in modo capillare.

Evoluzione delle terapie e strategie di prevenzione integrate nei sistemi sanitari

Il trattamento dell’epatite c ha raggiunto un grado di successo elevato grazie a farmaci orali rapidi, in grado di eradicare la malattia in poche settimane. L’epatite b può essere controllata con terapie continuative che riducono la replicazione virale e la progressione della malattia. Le opzioni per l’epatite d, una volta scarse, stanno migliorando con l’introduzione di nuovi approcci clinici che l’oms monitora attentamente.

Una strategia complessiva per affrontare l’epatite

La chiave per ridurre mortalità e complicanze resta però una strategia complessiva, che comprende vaccinazione, screening precoce, riduzione del danno e accesso alle cure integrate. L’agenzia Onu raccomanda di rafforzare questi interventi all’interno dei sistemi sanitari nazionali, ponendo particolare attenzione a raggiungere le persone più vulnerabili e a diminuire lo stigma sociale legato alle infezioni croniche.

Impegni globali e sfide nel percorso verso l’eliminazione dell’epatite entro il 2030

L’oms ha fissato obiettivi precisi per il 2030, che se rispettati potrebbero evitare 2,8 milioni di morti e quasi 10 milioni di nuove infezioni. Questo traguardo dipende però da risorse adeguate e dalla capacità di mantenere servizi essenziali anche in assenza di finanziamenti esterni robusti. I Paesi devono aumentare l’investimento interno, garantire dati epidemiologici precisi, assicurare la disponibilità di farmaci accessibili e lavorare per eliminare barriere sociali che ostacolano l’adesione alle cure.

“Solo una mobilitazione decisa e urgente potrà invertire la tendenza attuale,” si legge nel richiamo finale della Organizzazione mondiale della sanità. L’epatite d, con la sua nuova classificazione, entra quindi nel novero delle priorità globali per la sanità pubblica, richiedendo un impegno concreto per proteggere milioni di persone nel mondo.

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