La violenza contro le operatrici sanitarie: una realtà allarmante nel settore della salute

La violenza contro le operatrici sanitarie: una realtà allarmante nel settore della salute

Il 62% delle operatrici sanitarie ha subito violenze, con un aumento del 38% in Italia negli ultimi cinque anni. Nuove leggi cercano di migliorare la sicurezza, ma restano sfide strutturali.
La violenza contro le operatri La violenza contro le operatri
La violenza contro le operatrici sanitarie: una realtà allarmante nel settore della salute - Gaeta.it

Il report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha messo in luce un fenomeno preoccupante: il 62% delle operatrici sanitarie ha subìto violenze nel corso della propria carriera. Questa tragica realtà è stata ulteriormente confermata da uno studio pubblicato da Plos, che ha rivelato come le professioniste del settore sanitario siano maggiormente esposte a minacce, discriminazioni e molestie sessuali rispetto ai loro colleghi maschi. Le statistiche mostrano che in Italia, gli episodi di aggressione sono aumentati del 38% negli ultimi cinque anni, con risultati inquietanti. Nel mese di agosto appena trascorso, ogni giorno è stato segnato da violenze fisiche perpetrate ai danni di medici e infermieri, di cui l’80% sono donne, da parte di pazienti o familiari. Le ragioni di questo aumento sono legate a un ambiente ospedaliero già angusto, reso ancor più difficile dalla mancanza di personale, disorganizzazione, e lunghe attese per ricevere assistenza. L’inefficienza nei presidi delle forze dell’ordine, che spesso non sono presenti durante le ore notturne di maggiore vulnerabilità, aggiunge un ulteriore strato di rischio per queste lavoratrici.

Le radici strutturali della violenza nel settore sanitario

La problematica della violenza contro le operatrici sanitarie non è soltanto una questione di episodi isolati. Essa rispecchia una struttura sistematica di violenza di genere, influenzata dalle dinamiche di distribuzione delle risorse e del potere, che perpetua un clima di impunità. Attualmente, solo il 25% delle figure dirigenziali nel settore sanitario è occupato da donne, che, al contrario, trovano spesso intimoriti in posizioni subordinate e con retribuzioni inferiori. In contesti come l’India, molte dottoresse sono costrette a lavorare in situazioni precarie e sotto retribuite, mentre la violenza in tali contesti tende a normalizzarsi. Questo meccanismo viene complicato da strumenti sociali ed economici che scoraggiano le donne a denunciare le aggressioni, creando un ambiente di silenzio e paura. Le operatrici preferiscono a volte abbandonare la professione piuttosto che affrontare una cultura del sopruso che le lascia vulnerabili e isolate.

Dati sull’insicurezza: Inail e Amsi

Recenti dati forniti dall’INAIL, racchiusi nel “Dossier donna 2024”, riportano oltre 4.000 infortuni denunciati nelle ultime tre annate legati a episodi di violenza nei confronti delle donne in ambito sanitario. Anche lo studio condotto dall’Associazione Medici di Origine Straniera in Italia , in collaborazione con altre organizzazioni, evidenzia un incremento del 40% di aggressioni fisiche e psicologiche nel medesimo periodo. Non da meno è il 35% di discriminazioni segnalato contro professioniste sanitarie di origine straniera, molte delle quali scelgono di trasferirsi in nazioni come Germania, Svizzera o Regno Unito. A livello globale, l’AMSI segnala una drammatica diffusione del fenomeno: il 40% degli episodi avviene in Europa, ma il dato sale fino al 95% nei Paesi in via di sviluppo. Le conseguenze psicologiche legate a queste esperienze traumatiche possono essere gravi, manifestandosi in ansie e depressioni che influenzano in modo significativo la carriera delle operatrici.

Nuove misure legislative in Italia

Recentemente, il governo italiano ha introdotto un nuovo decreto legge per garantire la sicurezza delle operatrici sanitarie, inasprendo le pene per aggressioni in ambito ospedaliero. La norma prevede l’arresto obbligatorio in flagranza e le pene possono variare da uno a cinque anni, con sanzioni pecuniarie che possono arrivare fino a 10.000 euro. Il ddl prevede anche l’uso di sistemi di videosorveglianza, già presenti nel 70% degli ospedali, e l’assegnazione di fondi per ampliare tali misure. Tuttavia, esperti come Daniela Barberi sottolineano che queste nuove leggi, pur necessarie, non risolvono completamente il problema. Per garantire un reale supporto alle operatrici, è imprescindibile una riorganizzazione dei reparti d’emergenza, con l’inserimento di figure professionali deputate al supporto psicologico e un investimento nella formazione continua.

Un’assenza di riferimento alla violenza di genere

Un aspetto controverso della nuova normativa è l’assenza di riferimenti specifici alla violenza di genere, un fenomeno purtroppo diffuso nel settore. Le testimonianze delle chirurghe italiane, raccolte in uno studio condotto da una squadra di ricercatrici, evidenziano come il 98% delle partecipanti abbia subito forme di discriminazione e molestie. Le chirurghi, in particolare, affrontano costantemente commenti inappropriati e questioni relative alle loro competenze, che possono sfociare in violenze fisiche e verbali. L’importanza di una tale ricerca va oltre le statistiche, cercando di mettere in luce l’effetto devastante di simili esperienze sia a livello personale che professionale. I dati sulla salute mentale delle specializzande, in crescita al di sopra dell’11%, rendono l’urgenza di un intervento strutturale più evidente. La lotta contro tali pratiche è fondamentale non solo per la salute mentale delle operatrici, ma per l’integrità dell’intero sistema sanitario.

Ultimo aggiornamento il 26 Novembre 2024 da Marco Mintillo

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