Il dibattito sul soccorso in mare dei migranti in Italia si infiamma nuovamente. Il cosiddetto “decreto Piantedosi”, una normativa adottata nel gennaio 2023 dal Ministero dell’Interno, sarà sottoposto all’analisi della Corte Costituzionale. A sollevare il quesito sulla sua legittimità è Roberta Marra, magistrata di Brindisi, in un contesto giuridico che coinvolge il ricorso contro il fermo della nave Ocean Viking. La questione sta generando un acceso confronto tra il governo italiano e le organizzazioni non governative, che contestano le disposizioni del decreto, ritenendole ingiuste.
Il contesto del fermo della nave Ocean Viking
Il caso dell’Ocean Viking risale al 9 febbraio 2024 quando la nave, operante per l’organizzazione Sos Mediterranee, è approdata a Brindisi con a bordo 261 migranti, tra cui 68 minori non accompagnati. Questi migranti erano stati soccorsi in diverse operazioni in acque internazionali, al largo delle coste della Libia. Tuttavia, la Guardia Costiera italiana ha disposto il fermo della nave, sottoponendola a un sequestro di 20 giorni per presunte violazioni legate al decreto Piantedosi. In aggiunta, l’ong ha ricevuto anche sanzioni amministrative. Questa situazione ha messo in evidenza le tensioni esistenti tra la politica di soccorso in mare e le normative vigenti in Italia, sollevando domande fondamentali sul diritto di soccorso e sulla sicurezza dei migranti.
Le disposizioni del decreto Piantedosi e le critiche delle ong
Il decreto, che porta il nome del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, stabilisce che le navi delle organizzazioni umanitarie sono obbligate a rientrare nel porto più vicino dopo aver effettuato un salvataggio, senza alcuna possibilità di effettuare ulteriori interventi di soccorso. Questo aspetto è particolarmente controverso perché limita drasticamente le opzioni per le ong, che sono costrette a rispettare un protocollo rigido in situazioni di emergenza.
Inoltre, il decreto prevede il sequestro amministrativo delle navi nei casi in cui operino in acque controllate dalla guardia costiera libica. Le ong, tuttavia, contestano la sicurezza del Paese nordafricano, denunciando violenze e abusi sistematici sui migranti rispediti lì. Le organizzazioni umanitarie hanno criticato aspramente questa normativa, sostenendo che essa rappresenti un ostacolo cruciale al salvataggio di vite umane in mare, mettendo in discussione la moralità e l’umanità delle leggi italiane.
La risposta delle organizzazioni umanitarie e la reazione della magistratura
Giorgia Girometti, responsabile della comunicazione per Sos Mediterranee, ha definito l’accoglimento della questione da parte del tribunale di Brindisi un “successo storico”. Come dichiarato, l’accordo giudiziario rappresenta una risposta significativa alle critiche mosse dalle ong fin dall’introduzione del decreto. Gli attivisti legali affermano che il fermo di 20 giorni è “non graduabile e automatico”, mancando così di rispettare i principi di proporzionalità e individualizzazione della sanzione, essenziali nel contesto giuridico.
Essi sottolineano l’urgenza di garantire che l’Italia rispetti i propri obblighi internazionali, opponendosi all’idea di riconoscere le azioni di soccorso condotte dalla guardia costiera libica. Attualmente la situazione si trova in un momento cruciale; la Corte Costituzionale avrà il compito di esaminare e decidere sulla costituzionalità di un decreto che ha creato divisioni sempre più marcate tra governo, giustizia e società civile.