L’articolo 122 della Costituzione impone che le leggi elettorali regionali rispettino i principi fissati dalla normativa statale. Tra questi principi c’è il limite massimo di due mandati per i presidenti delle regioni a statuto ordinario. Recentemente la Corte costituzionale ha depositato una sentenza che chiarisce aspetti cruciali sul terzo mandato, aprendo un dibattito sulle implicazioni per le regioni a statuto speciale e per la legislazione futura.
Il principio del limite ai mandati e la cosiddetta norma interposta
La norma interposta è un principio secondo il quale le leggi regionali devono rispettare i criteri fondamentali fissati dalla legge statale, pena la loro illegittimità costituzionale. L’articolo 122 fissa questo legame diretto. Nel caso del limite ai mandati per i presidenti di regione, la legge statale stabilisce un tetto massimo di due mandati per le regioni a statuto ordinario. Il presidente emerito della Corte costituzionale, Cesare Mirabelli, ha commentato che “questo tetto rappresenta un vincolo preciso da rispettare nelle leggi regionali. Se superato, si incappa automaticamente in una situazione di illegittimità.”
La corte ha voluto così garantire che le norme sulle elezioni regionali non si scostino troppo dai principi generali della Repubblica. Questa posizione nasce dall’esigenza di assicurare uniformità e coerenza nell’organizzazione delle istituzioni democratiche a livello locale.
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I possibili effetti sulle regioni a statuto speciale e le leggi statutarie
La sentenza costituzionale ha provocato discussioni sulla possibilità che alcune regioni a statuto speciale possano introdurre il terzo mandato per i loro presidenti. Secondo Mirabelli, queste leggi statutarie possono essere impugnate, perché la norma interposta richiede che l’uniformità dei limiti sia rispettata anche in quelle realtà.
Non è scontato come finirà un eventuale giudizio di legittimità, perché le regioni autonome hanno alcune prerogative specifiche. Eppure, il principio del limite ai mandati rappresenta un elemento che andrebbe applicato anche in quegli ambiti, per lo meno secondo la visione espressa dall’ex presidente della corte.
Questo suggerisce che la corte stia spingendo verso una maggiore omogeneità nel sistema elettorale delle regioni italiane, riducendo differenze che potrebbero compromettere la parità delle condizioni politiche e il ruolo degli organi rappresentativi.
La flessibilità del limite e il ruolo della discrezionalità politica
Il limite dei due mandati non è scolpito nella pietra. La legge statale può cambiare e permettere il terzo mandato, lasciando scelte politiche ai rappresentanti eletti. Mirabelli specifica però che tale discrezionalità “non è illimitata e può essere controllata dalla corte se diventasse irragionevole o contraria al principio democratico.”
La ragionevolezza entra quindi nel calcolo come bilanciamento essenziale nel decidere se estendere o meno il numero di mandati consentiti. Quella della Corte si configura come una soglia che tutela la vitalità democratica impedendo la creazione di cariche “a vita”.
Mirabelli richiama l’attenzione sul rischio di un eccesso di presidenzialismi, un fenomeno osservabile anche in contesti esteri. La legge dunque, con il suo limite al numero di mandati, mira a garantire un ricambio nelle cariche pubbliche. Ciò evita che un solo individuo accumuli potere troppo a lungo, condizionando negativamente la rappresentanza e la competizione politica.
Il bilanciamento tra ricambio istituzionale e potere politico nelle elezioni regionali
Il dibattito sul limite ai mandati tocca il cuore della democrazia locale. La legge vuole assicurare un ricambio nei ruoli istituzionali per mantenere un equilibrio nelle condizioni di gara tra i candidati. Troppe rielezioni consecutive possono falsare la rappresentanza politica e compromettere la parità nell’accesso al potere.
Mirabelli sottolinea che il legislatore ha la responsabilità di decidere dove mettere il limite, in modo ragionevole e calibrato. Non basta imporlo per legge, serve un contemperamento tra stabilità e innovazione nelle istituzioni. La Corte ha ampliato il principio del limite ai mandati anche ad altri ruoli pubblici proprio per rafforzare questo messaggio. Tenere sotto controllo la durata del potere è un elemento chiave per evitare derive autoritarie e per mantenere un sistema politico rappresentativo e pluralista.
L’orientamento della Corte mette in evidenza la necessità di regole chiare sulle candidature e i mandati, senza lasciare spazio a interpretazioni troppo elastiche o arbitrarie. Questo principio, se applicato in modo uniforme a tutte le regioni, potrebbe ridefinire in modo significativo il funzionamento delle amministrazioni locali italiane. La discussione resta aperta, ma la sentenza segna un riferimento importante per future leggi e interpretazioni giuridiche.